Glossario


A B C D E F G H I J K L M N O P Q R S T U V W X Y

A

  • Aberrazione ottica: Nel glossario fotografico questo termine è utilizzato per descrivere la differenza tra l’immagine ideale e l’immagine effettiva. In un’immagine formata da un obiettivo ideale, un punto risulta come un punto e un piano perpendicolare all’asse ottico (es.: un muro) risulta come un piano. Inoltre i colori percepiti sono quelli reali del soggetto. Nella realtà, tuttavia, queste condizioni teoriche non possono (per vari motivi) essere rispettate e l’immagine prodotta sarà più o meno fedele all’immagine ideale a seconda del livello di aberrazione che contraddistingue l’ottica che l’ha generata. Le aberrazioni ottiche più diffuse sono: aberrazione cromatica, aberrazione sferica, coma, aberrazione astigmatica e curvatura di campo. Ciascuna aberrazione condiziona in maniera più o meno seria la qualità finale dell’immagine.
  • Aberrazione astigmatica: Aberrazione ottica, anche detta astigmatismo, che si presenta lontano dall’asse ottico. Una lente astigmatica trasforma i punti in segmenti ortogonali fra loro, causando una sfocatura più o meno accentuata dell’immagine. La distanza dei vari segmenti tra loro indica il grado di astigmatismo. L’aberrazione astigmatica può essere ridotta chiudendo il diaframma.
  • Aberrazione cromatica: La luce solare che passa all’interno di un prisma si scompone riproducendo lo spettro dell’arcobaleno. Questo perchè le lunghezze d’onda della luce si rifrangono (o deviano) in punti diversi all’interno del prisma. L’aberrazione cromatica è un difetto dell’immagine causato proprio dal diverso valore di rifrazione dei raggi luminosi che passano attraverso l’obiettivo. Venendo le diverse lunghezze d’onda (la luce bianca è composta da radiazioni blu, verdi e rosse) rifratte e messe a fuoco in modo differente, i contorni delle figure appaiono, anziché netti, lievemente sfumati e con leggeri aloni colorati attorno. L’aberrazione cromatica è particolarmente evidente quando la luce proviene da dietro i soggetti fotografati o comunque quando si ingrandiscono i dettagli di un’immagine. Tutti i sistemi ottici, in diversa misura, subiscono questo difetto, ma esistono anche particolari accorgimenti per limitarla, come ad esempio particolari obiettivi (detti obiettivi apocromatici) dotati di lenti costruite in materiali a bassa dispersione come la fluorite, minerale composto da fluoruro di calcio. Negli anni Sessanta, Canon è riuscita a produrre artificialmente la fluorite in cristalli, realizzando i primi obiettivi reflex intercambiabili con elementi alla fluorite. Per indicare il potere dispersivo del vetro, invece, e quindi l’aberrazione cromatica di una lente costruita con esso, si utilizza un numero detto di Abbe.
  • Aberrazione sferica: Difetto dell’immagine causato dalla curvatura sferica delle lenti dell’obiettivo. I raggi di luce che colpiscono le zone marginali dell’obiettivo vengono messi a fuoco ad una distanza differente rispetto a quelli che ne colpiscono la parte centrale. Per ridurre il fenomeno, che genera immagini dai contrasti poco netti, come rivestite da una pellicola sottile, si può chiudere maggiormente il diaframma (concentrando così i raggi di luce nella parte più centrale della lente) oppure utilizzare particolari lenti non sferiche, chiamate asferiche, più complesse da realizzare e molto costose.
  • ADC: Acronimo di Analog to Digital Converter, termine utilizzato per indicare il dispositivo situato dopo il sensore e prima del microprocessore che ha la funzione di trasformare il segnale analogico in uscita dal sensore in segnale digitale per il microprocessore.
  • AE: Abbreviazione di Automatic Exposure, esposizione automatica. Sistema tramite il quale la fotocamera imposta automaticamente l’apertura del diaframma e/o il tempo di esposizione per fare in modo che il sensore sia raggiunto da una quantità di luce adeguata.
  • Algoritmo: Matrice di calcolo per eseguire una determinata operazione matematica. In fotografia digitale gli algoritmi sono utilizzati ad esempio nella codifica di un file, in svariate operazioni di fotoritocco in camera chiara oppure nella compressione di un file d’immagine.
  • Aliasing: Effetto ottico anche detto scalettatura (o jaggies in inglese) che si manifesta nelle linee inclinate delle immagini digitali con una risoluzione eccessivamente bassa: l’immagine vista ad alta risoluzione apparirà “a quadretti” anziché correttamente sfumata. Questa particolarità dell’immagine digitale può essere corretta con specifiche tecniche, dette antialiasing, capaci di ammorbidire le linee smussando i bordi dell’immagine e lasciando così percepire meno lo scalettamento (una di queste tecniche è il dithering). Le funzioni di riduzione di questo difetto possono dare un’impressione di minor nitidezza.
  • ALPHA (canale): Termine grafico per indicare una mappa dell’opacità dell’immagine, anche detta maschera, che sovrapposta all’immagine stessa consente di mostrare zone opache (anche parzialmente) e zone trasparenti (anche parzialmente); permette cioè di “forare” in modo graduale una porzione dell’immagine per vedere un’altra immagine sottostante. I canali alpha sono molto usati nelle tecniche di fotoritocco dal momento che consentono di eseguire una straordinaria quantità di combinazioni ed effetti tra più porzioni di immagine.
  • Alteluci: Termine usato per indicare le zone più chiare dell’immagine, ossia quelle che vanno dal grigio chiaro al bianco assoluto.
  • Anello adattatore: Anello che adatta il diametro anteriore di un obiettivo all’uso di ottiche aggiuntive di differente diametro (maggiore o minore) oppure permette di utilizzare accessori come filtri, paraluce eccetera di diametro diverso da quello di un determinato obiettivo. Alcuni anelli adattatori permettono infine di montare obiettivi di una marche diverse da quella della fotocamera utilizzata.
  • Angolo di campo: Porzione di spazio inquadrata da un obiettivo di una certa lunghezza focale in relazione alle dimensioni del sensore o della pellicola impressionata. Anche detto angolo di vista, l’angolo di campo viene normalmente espresso in gradi in relazione alla diagonale del fotogramma. Gli obiettivi che coprono un angolo di campo ristretto vengono chiamati teleobiettivi, mentre gli obiettivi grandangolari (ed in particolare il cosiddetto Fish-eye) catturano un angolo di campo estremamente ampio. Alcuni fabbricanti comunicano anche la copertura verticale ed orizzontale dell’obiettivo.
  • Apertura: Con il termine apertura, in fotografia, possono essere indicate due cose: l’apertura di un obiettivo e più spesso l’apertura del diaframma. L’apertura di un obiettivo, detta anche apertura effettiva, è correlata al diametro del fascio di raggi di luce che lo attraversa e non al diametro effettivo delle sue lenti; essa determina la luminosità dell’immagine formata sul piano focale. L’apertura del diaframma, invece, è il rapporto tra il diametro del diaframma e la lunghezza focale dell’obiettivo e consente ad esempio di controllare la profondità di campo. Aprendo o chiudendo il diaframma, si regola innanzitutto il diametro del fascio luminoso che passa attraverso l’obiettivo.
  • APO: Abbreviazione di “apocromatico”, termine che indica un sistema ottico in grado di mettere a fuoco nello stesso punto più lunghezze focali e contrastare così l’aberrazione cromatica. Ciascuna onda luminosa di cui è composta la luce bianca (radiazioni blu, verdi e rosse) ha una sua lunghezza e quando passa attraverso l’obiettivo, viene focalizzata in punti diversi. Le ottiche acromatiche riducono in parte questo problema, mentre gli obiettivi apocromatici lo eliminano completamente, riuscendo a mettere a fuoco tutte e tre le componenti cromatiche sullo stesso piano.
  • Artefatto: Difetto, come una macchia oppure una sfumatura, visibile nella fotografia digitale ma non presente nella realtà fotografata. Gli artefatti possono essere dovuti ad una qualsiasi fase dell’elaborazione (come ad esempio le moiré) ma spesso si creano nel momento in cui, per occupare meno spazio nella memoria, si rinuncia ad alcune informazioni contenute nel file di immagine, ad esempio utilizzando un’eccessiva compressione jpeg.
  • ASA: Unità di misura della velocità della pellicola definita dalla American Standards Association, oggi sostituita dalla scala ISO 5800:1987. Più gli Asa aumentano, meno luce è necessaria, a fronte però di un degradamento dell’immagine.
  • Asferica (lente): Lenti di curvatura non perfettamente sferica studiate per limitare la distorsione ottica e la curvatura di campo ma anche le dimensioni di un obiettivo.
  • Autofocus (AF): Caratteristica delle fotocamere digitali dotate di un microprocessore che si occupa di monitorare i contorni dei soggetti inquadrati per massimizzarne la nitidezza. In pratica: i sensori per la messa a fuoco analizzano il soggetto e sono collegati ai motori; questi ultimi agiscono direttamente sulla posizione delle lenti degli obiettivi. Questa funzione consente quindi di mettere a fuoco automaticamente il soggetto che si sta inquadrando. Oltre all’AF semplice, esistono varie modalità di autofocus: AF multizona (si richiede alla fotocamera di mettere a fuoco una determinata zona all’interno della scena inquadrata, ad esempio il centro dell’immagine), AF servo (mantiene a fuoco un soggetto in movimento durante una ripresa con una raffica di scatti, stimando velocità ed accelerazione quando varia la distanza del soggetto dalla fotocamera) e AF TTL (Auto Focus Through The Lens: sistema di messa a fuoco automatico con lettura esposimetrica attraverso l’obiettivo). Nell’AF TTL il sensore autofocus è posto dietro l’obiettivo e a volte coincide con lo stesso sensore CCD; questo comporta una funzionalità ottimale in fase di ripresa anche in presenza di convertitori e filtri aggiuntivi, che genericamente alterano le caratteristiche dell’obiettivo. In alcuni casi il sensore TTL misura il contrasto dell’immagine (o il contrasto di fase, cioè misurato solo sulle righe e non sulle colonne), garantendo una messa a fuoco perfetta sulla porzione più grande possibile dell’immagine.
  • Autoscatto: Meccanismo che ritarda lo scatto di alcuni secondi (in genere da 2 a 10) allo scopo di garantire lo smorzamento delle vibrazioni nei casi di esposizioni con tempi lunghi, oppure per consentire a fotografo di entrare a far parte dell’immagine. L’autoscatto è presente in quasi tutte le fotocamere compatte o reflex, analogiche o digitali. Molto utile in caso di autoscatto è il treppiede che consente di comporre l’inquadratura e di mantenere ferma la macchina durante lo scatto.

B

  • Backlighting: Si utilizza questa espressione per indicare la luce che proviene da dietro il soggetto inquadrato. Questa difficile situazione di illuminazione può causare la sottoesposizione del soggetto ripreso, se non si utilizzano particolari accorgimenti come il flash di riempimento o il blocco dell’esposizione puntato sul soggetto (che però sovraesporrà lo sfondo).
  • Backup: Copia di riserva di un disco, di una sua parte o di uno o più file. Scattare in digitale impone ordine e metodo nella conservazione dei file di immagine generati. Spesso i backup vengono effettuati periodicamente e in modo automatico servendosi di appositi software, ma quando si tratta di immagini è meglio utilizzare qualche precauzione in più. La conservazione ideale delle immagini in formato digitale è su dischi rigidi esterni, periodicamente aggiornati tramite backup e mantenuti in un luogo sicuro. Questa soluzione è preferibile all’uso di CD o DVD che potrebbero graffiarsi o rovinarsi nel tempo e risultare illeggibili. Per i file più importanti è opportuno prevedere anche un backup su più dischi rigidi conservati in luoghi differenti (fisicamente lontani) e opportunamente protetti da polvere, urti e umidità.
  • Bagliore: Effetto (in inglese flare) generalmente riscontrabile nelle foto fatte a superfici riflettenti o in controluce che si manifesta con la perdita di contrasto e la comparsa di piccoli aloni luminosi dovuti all’ingresso ed alla riflessione della luce nell’obiettivo.
  • Baionetta (attacco a): Meccanismo di aggancio degli obiettivi delle fotocamere reflex. Questo attacco è l’evoluzione dell’attacco a vite; oltre ad agganciare le diverse ottiche al corpo macchina, l’attacco a baionetta presenta una serie di sensori e contatti elettrici che consentono di creare una diretta e completa comunicazione con il sistema di gestione della fotocamera.
  • Banding: Difetto che produce un improvviso passaggio da una tonalità all’altra alterando la morbida gradualità delle sfumature dell’immagine originale. Tale effetto comporta la comparsa nelle immagini stampate, soprattutto fotografiche, di striature e bande orizzontali, ma può essere parzialmente corretto intervenendo in postproduzione con vari accorgimenti (ad esempio l’aggiunta di un leggero disturbo o la lieve sfocatura di determinate zone).
  • Bank (illuminazione): Gruppo luce di grandi dimensioni che si collega alla sorgente di illuminazione (normalmente potenti lampade flash) e serve per ammorbidire e diffondere la luce emessa. Il bank distribuisce su una superficie molto ampia una elevata intensità luminosa e quindi genera luce a basso contrasto (ombre tenui e sfumate). Sono utilizzati principalmente nello still life e per i ritratti. Esistono bank di varie forme (quadrati, rettangolari, esagonali, ecc.) e di varie dimensioni, in genere di largezza o diametro superiore ai 30cm e fino a oltre 2 metri. I bank di dimensioni più elevate sono utilizzati per illuminare soggetti molto grandi, come soggetti a figura intera o automobili. Le pareti interne del bank sono argentate mentre quella frontale, attraverso cui passa la luce, è di materiale plastico bianco traslucido.
  • Basculaggio: Movimento sull’asse verticale o orizzontale di una fotocamera che ha la funzione di controllare la forma dell’immagine catturata e modificare la profondità di campo. La massima profondità di campo si ottiene quando i prolungamenti del piano focale, del piano di messa a fuoco e della perpendicolare all’asse ottico convergono in un unico punto. Il basculaggio (tilt) non deve essere confuso con il decentramento (shift).
  • Battery pack: Batterie portatili, esterne al dispositivo da alimentare. Il battery pack viene utilizzato come alimentazione aggiuntiva per aumentare l’autonomia operativa della fotocamera o di un suo accessorio (es. flash).
  • Batterie ricaricabili: Le fotocamere digitali consumano mediamente molta energia soprattutto a causa del sensore e del display LCD. Per questo è opportuno utilizzare per il loro funzionamento solo batterie ricaricabili, che una volta esaurite possono essere ricaricate tramite un adeguato caricabatterie e riutilizzate migliaia di volte senza cali nelle prestazioni. La maggior parte delle fotocamere digitali utilizza batterie ricaricabili Ni-Mh o Li-Ion. Per non rischiare di rimanere “a secco” sul più bello, è consigliabile acquistare almeno una batteria di riserva. Le batterie originali hanno un prezzo abbastanza elevato, ma alcune fotocamere possono ospitare anche batterie universali e batterie (usa e getta o ricaricabili) formato AA/AAA, economiche e facilmente reperibili, ma con una autonomia molto limitata che le rende utili solo in caso di emergenza.
  • Bilanciamento del bianco: Operazione che consente di restituire ai colori le loro tonalità naturali, compensando le dominanti date dalla luce. Il colore e l’intensità della luce variano infatti in base al momento della giornata o alle fonti di illuminazione presenti sulla scena ripresa. In ambienti interni, ad esempio, si ottengono foto tendenti al verde (se la luce che illumina la scena è al neon) o all’arancione (se la luce è una lampadina). Grazie al bilanciamento del bianco questo problema viene ridotto o addirittura risolto. Come bilanciare il bianco? Per bilanciare il bianco occorre inserire, se non è già presente nella scena, un elemento bianco (ad esempio un foglio di carta) e inquadrarlo in primo piano per indicare al software della fotocamera il valore del bianco cui riferirsi. In alcune fotocamere il bilanciamento è solo automatico (la fotocamera tenta di individuare il tipo di luce basandosi sulle tonalità prevalenti nell’immagine), in altre è possibile gestirlo anche manualmente scegliendo da un menù il tipo di sorgente luminosa che illumina la scena inquadrata. Maggiori problemi sorgono quando la scena è illuminata da fonti miste, con temperature diverse: in questi casi l’unica soluzione possibile per rendere omogenea l’immagine è intervenire successivamente (fotoritocco) con una correzione selettiva dei colori. In generale, l’utilizzo del formato RAW e di software professionali per il fotoritocco rendono meno importante questa impostazione in fase di scatto.
  • Blooming: Effetto visivo causato da una eccessiva esposizione (sovraesposizione) alla luce del sensore: un’intera area dell’immagine appare completamente bianca. Può essere evitato in prima battuta compensando l’esposizione o con altri accorgimenti più complessi da attuare comunque durante la fase di scatto. Una volta catturata un’immagine affetta da blooming sarà pressochè impossibile riportare alla normalità le zone bruciate, dove nessun dato è stato registrato.
  • Blocco dell’esposizione (blocco AE): Funzione, in genere presente nelle fotocamere di alta gamma (ed indicata anche come AE lock) che consente di bloccare l’esposizione automatica. Il “blocco” non è altro che la misurazione della luce in un punto preciso dell’immagine: esso consente di mantenere questa impostazione mentre, spostando la macchina, si compone l’inquadratura. In questo modo si può esporre correttamente una foto complessa (con alte luci e zone d’ombra importanti) o viceversa sovraesporre o sottoesporre volontariamente l’immagine. Questa funzione è particolarmente utile anche in caso raffiche di scatti, di foto panoramiche, oppure nelle situazioni in cui il soggetto è illuminato alle spalle, quando non si vuole ottenere una silhouette in controluce ma al contrario si desidera rendere visibile il soggetto (in questi casi fondamentale è anche il flash di riempimento).
  • Blur (sfocatura): Effetto disponibile su tutti i programmi di grafica che consente, attraverso la media dei valori dei pixels, di ammorbidire i dettagli, rendendo sfocate alcune parti dell’immagine o la sua intera superficie.
  • Bmp (o bitmap): Formato di file di Windows per salvare e visualizzare immagini, introdotto per la prima volta nel 1990. Una delle caratteristiche principali di questo formato di file è la velocità con cui le immagini vengono lette o scritte su disco. È possibile comprimere i file bitmap da 16 e 256 colori con l’algoritmo RLE, ma questa compressione non è molto utilizzata perché meno efficiente di altri metodi lossless (ossia senza perdita di dati). Ecco perché i file bitmap, anche quelli compressi, occupano più spazio su disco rispetto ad altri formati raster come ad esempio gif, e sono perciò meno adatti di questi alla trasmissione di immagini via web.
  • Bokeh (effetto): Termine (derivante dal giapponese ぼ け, traducibile come “sfocatura”) utilizzato per indicare la resa e l’intensità delle aree fuori fuoco di un’immagine. Il termine fa riferimento non solo al risultato finale, ma anche all’insieme di tecniche e accorgimenti messi in atto dal fotografo per intensificare la sfocatura dello sfondo sino a far apparire tonde e morbide le fonti luminose e dar quindi una particolare atmosfera alla foto. Si definisce “buono” un bokeh in cui appaiono dei punti di luce molto sfocati e diffusi, magici, “cattivo” un bokeh in cui i contorni delle luci sullo sfondo sono piuttosto marcati. Questo dipende dalla correzione dell’aberrazione sferica dell’ottica usata, ma anche (soprattutto) dal numero di lamelle di cui è composto il diaframma: un diaframma a sei lamelle (incorporato negli obiettivi più economici), darà origine a un bokeh più cattivo ossia con una transizione più netta dalla messa a fuoco al fuori fuoco rispetto a un diaframma con ad esempio nove lamelle. Un buon effetto bokeh, quasi del tutto simile a quello ottenuto in fase di scatto, può essere completamente ricreato attraverso il fotoritocco.
  • Bracketing automatico (o esposizione a forcella): Alcune fotocamere possono scattare in automatico più fotografie (normalmente tre o cinque) dello stesso soggetto con differenti valori di esposizione. Lo scatto centrale viene eseguito sulla base delle indicazioni dell’esposimetro, mentre gli altri sono rispettivamente sottoesposti o sovraesposti. In questo modo, scegliendo lo scatto migliore, quasi sempre si può ottenere una foto dall’esposizione sufficientemente equilibrata.
  • Bruciatura: Tecnica utilizzata in camera oscura per scurire le aree di un’immagine. In camera chiara la tecnica viene realizzata da programmi come Photoshop, con lo strumento Brucia. Questa tecnica di sviluppo è dunque in grado di limitare parzialmente o totalmente l’esposizione su una determinata porzione dell’immagine e compensare eventuali sovraesposizioni. L’opposto della bruciatura è la schermatura. La combinazione controllata e consapevole di queste due tecniche consente di modificare porzioni dei soggetti (rendendole più o meno luminose e quindi visibili) o addirittura la luce dell’intera immagine.
  • Buffer: Sorta di memoria ausiliaria in cui le foto scattate vengono inizialmente depositate; in seguito (nel giro di alcuni secondi) i files di immagine vengono dalla fotocamera automaticamente e definitivamente memorizzati su un diverso supporto di memoria (scheda di memoria oppure disco). Questo doppio passaggio consente, paradossalmente, di ridurre il tempo di attesa tra uno scatto e l’altro e (in base all’ampiezza del buffer) di scattare raffiche di immagini. Vedi anche FPS (frames per second). La memoria buffer di un Hard Disk esterno, similmente, velocizza e facilita il flusso di trasmissione delle informazioni in esso contenute.
  • Bulb (o posa B): Tempo di esposizione prolungato e personalizzato, superiore ai tempi disponibili manualmente. È una caratteristica presente quasi esclusivamente nelle fotocamere professionali con la quale è possibile tenere aperto l’otturatore per un tempo a propria scelta in modo da catturare più luce possibile. Tecnica particolarmente adatta alle riprese notturne o astronomiche, per le quali si rende assolutamente necessario anche il treppiede e uno scatto flessibile od un telecomando.

C

  • Camera chiara: Termine che si diffonde con l’avvento della fotografia digitale per indicare l’insieme dei procedimenti e delle tecniche di “sviluppo” che le immagini digitali subiscono in seguito allo scatto. La fortunata locuzione viene presa in prestito dal titolo di un famosissimo saggio sulla fotografia, La chambre claire, del critico francese Roland Barthes (Paris, 1980) e si pone in contrapposizione ed estensione del concetto classico di “Camera oscura”. Se in Camera oscura le immagini vengono trattate sulla base di procedimenti chimici, nella nuova Camera chiara i files digitali “vengono alla luce” (di uno schermo) attraverso le tecnologie informatiche messe a disposizione dai programmi di editing digitale. Molto è cambiato, le tecniche si sono evolute, ma conoscere i principi fondamentali della Camera oscura si rivela imprescindibile anche nell’utilizzo delle infinite potenzialità della Camera chiara.
  • Cavo sincro: Cavo con attacco standardizzato per collegare flash da studio o flash compatti di vecchia generazione ad una fotocamera. Il cavo trasmette soltanto il comando di emissione del lampo, al contrario del controllo TTL dove servono contatti aggiuntivi per trasmettere anche i segnali di controllo dell’esposizione. La presa di sincronizzazione (PC) cui collegare il cavo sincro è presente soprattutto nelle reflex professionali.
  • CCD: Significa “Charged Coupled Device”, dispositivo ad accoppiamento di carica. È composto da milioni di piccoli sensori Pixel (Megapixel). Maggiore è il loro numero e la loro dimensione, più dettagliata sarà la foto (ma non necessariamente di qualità migliore, a parità di grandezza del sensore). Generalmente il CCD, rispetto al CMOS, gode di una maggiore riduzione del rumore digitale (disturbo) ma soffre di una maggiore lentezza operativa e di un più intenso consumo di energia.
  • Clipping: Termine che indica la presenza, in alcune zone dell’immagine, di pixel completamente neri (in caso di immagine sottoesposta) o completamente bianchi (immagine sovraesposta) ed in entrambi i casi privi di informazioni utili. Il clipping può essere più o meno esteso a seconda dell’esposizione dell’immagine e viene visualizzato negli istogrammi generati dalla fotocamera subito dopo lo scatto oppure elaborati dai programmi di fotoritocco. Il clipping viene rappresentato negli istogrammi attraverso la porzione posta all’estrema destra o all’estrema sinistra del grafico.
  • CMOS: Significa “Complimentary Metal-Oxide Semiconductor”, semiconduttore a ossido di metallo complementare. Anch’esso, come il CCD, è costituito da milioni di Pixel (Megapixel), ma interlacciati tra loro con una architettura diversa. Questo fa si che il CMOS sia generalmente meno efficace nella riduzione dei disturbi creati dal flusso della corrente, ma anche più veloce e dai consumi più ridotti rispetto ai sensori CCD.
  • CMYK (quadricromia): Significa “Cyan, Magenta, Yellow, blacK” ed indica i colori primari sottrattivi (o complementari) che caratterizzano la cosiddetta quadricromia: ciano, magenta, giallo e nero. Questo viene indicato con la lettera K (blacK) per evitare possibili confusioni con il blu, B. Sistema molto usato nella stampa delle riviste e della maggior parte degli stampati, superato dall’esacromia e dalla ettacromia.
  • Colori complementari: Sono i tre colori che vengono generati dalla combinazione dei colori primari (rosso, verde e blu), uniti fra loro a coppie: rosso e verde generano il giallo, rosso e blu generano il magenta, verde e blu generano il ciano. Unendo i tre colori complementari si ottiene il nero.
  • Colorimetro: Strumento in grado di misurare l’assorbimento della luce visibile da parte di soluzioni colorate, determinando l’intensità di colore (chroma e luminosità).
  • Compensazione dell’esposizione: Correzione manuale del valore automatico impostato dall’esposimetro al fine di ottenere un’esposizione corretta in situazioni di ripresa difficili. L’esposimetro di ogni macchina fa il suo meglio per scegliere le migliori regolazioni, ma spesso un piccolo intervento umano aiuta a migliorare l’immagine finale. Tutti i sistemi di misurazione della luce hanno infatti delle limitazioni, sia a causa della loro modalità di misurazione, sia perché certe situazioni di ripresa (come ad esempio la neve, soggetti con forti aree bianche o in controluce) possono facilmente falsare la misurazione producendo delle immagini sotto o sovraesposte. Attraverso la compensazione dell’esposizione, ossia la modifica della quantità di luce che riceverà il sensore, è possibile rimediare a tali errori; l’unità di misura usata per misurare questa compensazione é l’EV (Exposure Value).
  • Compressione (file): Operazione che riduce le dimensioni di un file, con una più o meno elevata perdita di informazioni. I file in formato bmp, gif, jpeg, mpeg e tiff sono compressi attraverso un algoritmo apposito, che ne riduce le dimensioni (e quindi il “peso”). Esistono due tipi di compressione: con perdita di qualità (che elimina minuscoli dettagli, normalmente non percepiti dal cervello umano, come avviene per i jpeg), e senza perdita di qualità o lossless (dove il grado di compressione è molto scarso ed i file rimangono comunque molto pesanti, come ad esempio i tiff). Nel caso dei file tiff e gif si parla di compressione LZW, tipo di compressione che utilizza un algoritmo simile a quello del formato zip lasciando appunto i colori inalterati. Per i formati bmp si utilizza invece la compressione RLE (tranne che in caso di immagini a 24 bit), meno efficace della compressione LZW perchè assembla solo pixel dello stesso colore e non comprime gruppi di pixel di colori diversi. La compressione dei file di immagine non è sempre necessaria, ma si rivela fondamentale ad esempio per la loro pubblicazione online (per non rallentare la navigazione) oppure utile per ridurre lo spazio di memoria da essi occupato. È però bene tenere presente che un file compresso, in mancanza di una sua copia non compressa, ha perso per sempre una determinata quantità di informazioni.
  • Contrasto: Misura della differenza di luminanza tra le parti più chiare e più scure dell’immagine. Se questa differenza aumenta, i valori più luminosi tendono al valore massimo (corrispondente al bianco, ossia il 255 nell’RGB) e i valori più scuri tendono al valore minimo (corrispondente al nero, ossia lo 0). Immagini con un contrasto eccessivo tendono ad avere solamente aree bianche e nere, mentre immagini con contrasto troppo basso si presentano tendenti al grigio. Il contrasto corretto non esiste in astratto, dipende dalla fotografia che si vuole ottenere. In genere, un contrasto ottimale comporta transizioni meno marcate dai toni più scuri a quelli più chiari in modo che l’immagine preservi meglio la sua leggibilità dei dettagli. Assieme alla luminosità, alla tonalità e alla saturazione contribuisce alla resa finale dell’immagine.
  • Contatto caldo: Contatto elettrico situato sulla sommità del pentaprisma delle fotocamere reflex, all’interno della slitta metallica per collegare gli accessori alla fotocamera. Il contatto caldo viene utilizzato per la sincronizzazione del flash esterno.
  • Controluce: Fonte di luce posta frontalmente alla fotocamera, come ad esempio un tramonto. In questa situazione, il soggetto ripreso può trovarsi (come nel backlighting) tra la fonte luminosa e la fotocamera e quindi apparire con i tratti non visibili ma solo in silhouette.
  • Correzione della gamma: Operazione analoga alla calibrazione del colore, diretta a rendere visibile il maggior numero di dettagli possibile di un’immagine, correggendone contemporaneamente luminosità e contrasto.
  • Crop (o ritaglio): Il crop (o cropping) consiste nel taglio, in fase di fotoritocco, dell’inquadratura ottenuta per eliminarne dei particolari o correggere la posizione (e l’impatto) dei soggetti inquadrati.
  • Curvatura di campo: Aberrazione ottica dovuta al fatto che l’immagine di un oggetto piano, perpendicolare all’asse ottico, si forma comunque su una superficie curva (la lente). Meno evidente se si utilizzano lenti asferiche.

D

  • DCF: Acronimo di Design rule for Camera File system, indica lo standard industriale per il salvataggio delle immagini digitali. Esso stabilisce non solo le regole di assegnazione del nome ai file ma anche il loro ordinamento nella fotocamera. Consente inoltre la conversione di file non compressi TIFF in file compressi JPEG di tipo Exif, in grado di contenere informazioni sui parametri di ripresa e sulla fotocamera. Lo standard richiede che gli ultimi quattro degli otto caratteri del nome dell’immagine siamo composti da un numero compreso tra 1 e 1999 (es.: DCP_0532) e che le immagini siano poste in una cartella con un nome di otto caratteri di cui i primi tre composti da un numero compreso tra 100 e 999 (es.: 107_DCP0). La cartella deve trovarsi in una specifica directory chiamata DCIM. Ogni immagine deve includere un’anteprima compressa da 160 x 120 pixel.
  • Decentramento: Scorrimento laterale di uno o entrambi i corpi (anteriore o posteriore) di una fotocamera grande formato, mantenendo l’asse ottico perpendicolare al piano della pellicola o del sensore. Il decentramento, attuabile anche tramite gli obiettivi decentrabili, serve a comporre l’inquadratura senza inclinare la macchina. Lo scorrimento può essere orizzontale o verticale: nel primo caso aiuta ad inquadrare con la corretta prospettiva i soggetti decentrati lateralmente, mentre nel secondo permette di inquadrare senza linee cadenti i soggetti decentrati verticalmente. Il decentramento può essere attuato anche in postproduzione, con una più o meno percepibile perdita di qualità nelle parti “stirate”. Vedi anche basculaggio.
  • Definizione: Termine comunemente utilizzato per indicare la finezza dei dettagli registrati dal sensore o in una stampa. In un’accezione più tecnica, la definizione indica il grado di qualità complessivo dell’immagine sulla base delle caratteristiche specifiche della nitidezza, del dettaglio e della granulosità. Molti sono i fattori che la determinano: la corretta messa a fuoco, la qualità costruttiva dell’obiettivo, la stabilità della fotocamera, il contrasto della foto e la corretta esposizione.
  • Densità di stampa: Quantità di punti (neri o colorati) che concorrono a ricostruire l’immagine in stampa; la densità viene misurata in DPI.
  • Diaframma: Ispirandosi al meccanismo perfetto dell’iride dell’occhio, il diaframma regola la quantità di luce che colpisce il sensore. È posizionato tra l’obiettivo e il sensore ed è costituito da una serie di lamelle a mezzaluna (in genere da 6 a 9) in grado di scorrere una sull’altra per restringere o allargare il foro di passaggio della luce. In alcune fotocamere è solo automatico, in altre può essere regolato manualmente a vantaggio di una maggiore creatività. Regolando oltre al diaframma anche il tempo dell’otturatore si ottiene il binomio tempo-diaframma, legati tra loro dalla regola della reciprocità, il cui bilanciamento permette di ottenere un’immagine tecnicamente corretta. L’apertura del diaframma (ossia il rapporto fra il diametro del diaframma e la lunghezza focale) determina anche la profondità di campo, ovvero la zona di nitidezza che si estende prima e dopo il punto di messa a fuoco: più chiudiamo il diaframma e maggiore sarà il campo nitido ottenuto. Il diaframma si misura in valori f/ (detti anche stop); più il valore f/ è basso, tanto maggiore sarà la quantità di luce che passerà attraverso l’obiettivo. La scala delle aperture è stabilita in modo che, passando da un’apertura alla successiva (a parità di obiettivo e otturatore), la quantità di luce si dimezza ogni volta.
  • Diffrazione: Utilizzando diaframmi molto chiusi si può manifestare questo difetto, visibile soprattutto quando si fotografano sorgenti luminose dirette. La diffrazione causa una perdita di nitidezza dell’immagine.
  • Diffusione d”errore: Metodo grafico che consiste nell’aggiunta in un’immagine di una componente casuale, o “rumore”, con la finalità di produrre sfumature migliori, in grado di rappresentare le mezzetinte. Grazie a questa funzione è possibile sostituire il colore originale con un colore similare, allargando così il grado di imprecisione del colore ai pixel attorno.
  • Digic (processore): Acronimo di Digital Imaging Integrated Circuit, indica il processore sviluppato da Canon per l’elaborazione fotografica effettuata dalle proprie fotocamere. Il processore Digic gestisce svariate funzioni chiave della fotocamera, come ad esempio il controllo del sensore, la messa a fuoco, l’esposizione automatica, il bilanciamento del bianco, la compressione JPEG, la gestione della scheda di memoria e la gestione del monitor LCD.
  • Digitale: Sistema che utilizza numeri finiti per rappresentare le informazioni. Nei computer questi numeri sono lo 0 e l’1 (si tratta quindi di un sistema binario). Il digitale si contrappone all’analogico, che è riferito a ciò che non è numerabile, non è analizzabile entro un insieme discreto di elementi. Per fotografia digitale si intende il procedimento che consente di ottenere immagini direttamente in forma digitale tramite tecnologie elettroniche e di immagazzinarle su un supporto magnetico, ottico o elettronico. È possibile ottenere fotografie digitali acquisendo i dati tramite la scansione di un’immagine esistente oppure scattando con una fotocamera digitale.
  • Diottria: Unità di misura del potere di rifrazione di un obiettivo. In fotografia, il termine viene utilizzato nel caso di lenti aggiuntive per riprese ravvicinate o di sistemi di correzione del mirino per adattarlo alla vista dell’utente.
  • Distorsione: Insieme all’aberrazione cromatica e all’aberrazione sferica, la distorsione è una delle principali aberrazioni dell’obiettivo per cui, nelle sue manifestazioni tipiche, le linee rette ai bordi dell’immagine vengono riprodotte come curvate verso il centro del fotogramma (distorsione a cuscinetto), oppure verso i suoi margini (distorsione a barilotto). La distorsione comporta il degradamento della forma dell’immagine, ma non della nitidezza. La distorsione ottica può essere limitata utilizzando obiettivi dotati di lenti asferiche o, leggermente, riducendo il valore del diaframma utilizzato. In molti casi il fotoritocco si rivela la soluzione ottimale per la correzione di questo difetto.
  • Dithering: Tecnica di anti-aliasing che consente, mescolando in modo proporzionato un certo numero di pixel di due colori diversi, di produrre un’area sfumata intermedia tra i due colori. Il dithering può essere “ordinato” o “casuale”, oppure utilizzare una formula matematica, influenzando così il modo in cui sono disposti i punti dei due colori. Il dithering viene spesso utilizzato per ridurre il numero di colori di un’immagine, diminuendone il “peso” ma mantenendo una discreta qualità visiva.
  • Dominante: Quando in una fotografia a colori si riconosce chiaramente la prevalenza di uno o più colori sugli altri, che dà un tono innaturale all’immagine, si dice che quella fotografia ha una dominante. Se non volute, le dominanti possono essere corrette grazie al fotoritocco con una correzione selettiva dei colori che compongono la foto. La correzione selettiva consente anche di sperimentare delle colorazioni creative molto suggestive.
  • DPI: Significa “Dots Per Inch”, punti per pollice. Misura della quantità di punti stampati su una linea lunga un pollice (ossia 2,54 cm). Si utilizzano i DPI per definire la qualità di una stampa: a parità del numero di colori della stampante, maggiore è il numero dei punti, maggiore sarà il dettaglio e la qualità di immagine complessivamente ripodotta dalla stampante. Un’immagine fotografica visualizzata su schermo ha una risoluzione di 72 o 96ppi; per una buona stampa sono invece necessari 300dpi.
  • DPOF: Acronimo di “Digital Print Order Format”, standard di stampa introdotto per trasferire immagini dalla fotocamera alla stampante. Il formato di stampa DPOF consente di selezionare le foto da stampare, decidere il numero delle copie, stampare l’indice delle thumbnail, ruotare le immagini, stampare le informazioni relative alle immagini e quelle relative all’utente. Consente inoltre di semplificare il lavoro e prevenire errori da parte dei fotolaboratori professionali.

E

  • Effetto memoria: Difetto tipico soprattutto delle batterie ricaricabili NiCd, per il quale se la batteria viene ripetutamente caricata senza aver prima raggiunto il normale livello di completa scarica, la batteria “memorizza” la ricarica parziale e non è più in grado di fornire la sua capacità completa. Nel tempo la batteria perde quindi prestazioni.
  • Errore di parallasse: Errore di visualizzazione del mirino ottico nelle compatte che si manifesta inquadrando soggetti ravvicinati: alcuni mirini ottici non riproducono esattamente la scena ripresa dall’obiettivo, ma una scena leggermente sfalsata. Questo errore si riduce quanto più lontano è il soggetto ripreso ed è pressoché inesistente nelle fotocamere reflex, dove il mirino ottico inquadra normalmente oltre il 96% della scena.
  • Esacromia: Tecnologia di stampa a sei colori che arricchisce le stampe ottenute in quadricromia (CMYK) con ulteriori sfumature, grazie all’uso di due colori chiari aggiuntivi, normalmente l’arancione e il verde (modello CMYKOG) oppure il ciano chiaro e il magenta chiaro (modello CcMmYK).
  • Esposimetro: L’esposimetro è uno strumento elettronico in grado di determinare il corretto bilanciamento della coppia tempodiaframma e quindi la corretta esposizione dell’immagine. L’esposimetro può essere per luce riflessa (ed è in genere contenuto all’interno della fotocamera e misura l’esposizione puntando l’obiettivo verso la scena da riprendere) o per luce incidente (è esterno e si posiziona vicino al soggetto da riprendere poco prima dello scatto per misurare la luce che lo colpisce). Nonostante la tanto pubblicizzata “intelligenza” delle fotocamere attuali, esse vengono spesso tradite nella lettura dell’esposimetro da particolari condizioni di luce. Per ovviare al problema si può ricorrere alla compensazione dell’esposizione ma in molti casi si rivela decisivo un successivo intervento di ottimizzazione dell’immagine. Vedi anche misurazione esposimetrica.
  • Esposizione: Tempo necessario alla cattura della luce da parte del sensore o della pellicola. L’esposizione può essere curata manualmente (M) nelle fotocamere di livello medio alto mentre di solito viene regolata automaticamente (A) dall’esposimetro incorporato nella fotocamera. Altre modalità dell’esposizione sono: programmata (P), a priorità di diaframma (AV o AP) e a priorità di tempo (TV o SP). In alcune fotocamere è anche possibile utilizzare l’esposizione a forcella, o bracketing automatico. Se l’esposizione non è corretta, si otterrà un’immagine sottoesposta cioè “scura” o sovraesposta, cioè troppo “chiara”. Una eccessiva sovraesposizione causa un effetto di Blooming: un’intera area dell’immagine appare cioè completamente bianca e i dati contenuti in quella porzione di foto sono irrecuperabili. Sovraesposizione e sottoesposizione sono entrambi difetti piuttosto gravi dell’immagine, ma la sottoesposizione viene normalmente corretta con risultati migliori proprio perché le parti scure della foto contengono comunque ancora delle informazioni. Vedi anche misurazione esposimetrica.
  • E-TTL: Acronimo di “Evaluative Through The Lens”, metodo sviluppato da Canon per controllare e regolare l’esposizione del flash. Diversamente dal sistema TTL, che presuppone due cellule separate (una per il lampo e una per la luce ambiente), grazie al sistema E-TTL la luce del flash viene misurata attraverso l’obiettivo dalla stessa cellula che opera con la luce ambiente. Questa modalità permette un bilanciamento piuttosto preciso tra luce del lampo e luce disponibile nell’ambiente. Con il sistema E-TTL, viene inviato un brevissimo pre-lampo (invisibile all’occhio umano) sul soggetto immediatamente prima del lampo principale per l’esposizione, in modo da valutare le condizioni e determinare il livello ottimale dell’emissione luminosa. Il sistema E-TTL può funzionare soltanto con le fotocamere e i flash Canon predisposti.
  • EXIF (file): Significa “Exchangeable Image File”, formato unificato per i file d’immagine creati dalle fotocamere digitali e da altri sistemi di acquisizione. Oltre a riportare i dati della fotocamera, i file exif permettono di memorizzare le informazioni relative alla foto (data, ora, risoluzione, tempo di esposizione, lunghezza focale, valore di apertura del diaframma utilizzato, flash utilizzato, sensibilità ISO impostata, ecc.). Questi numerosi dettagli possono essere letti utilizzando appositi programmi (normalmente di fotoritocco o di archiviazione) e sono molto utili anche per studiare a posteriori il risultato ottenuto, al fine di riprodurlo o di correggerne gli errori.
  • Exposure value (EV): Gli EV (valori di esposizione) vanno da -4 a 20; ogni valore è determinato da diversi accoppiamenti tra diaframmi / tempi di esposizione.

F

  • Fattore di crop (ritaglio): Nelle fotocamere digitali l’angolo di campo degli obiettivi risulta più ridotto che nelle fotocamere analogiche dal momento che i sensori sono normalmente più piccoli della pellicola 35mm. La minore porzione di immagine catturata viene definita fattore di crop o di ritaglio, dal momento che in sostanza è come se l’immagine venisse “ritagliata” a causa delle dimensioni inferiori del sensore. Il fattore di crop si misura in fattori di moltiplicazione.
  • Filtri: Nella fotografia tradizionale i filtri sono dei dischi (trasparenti o spesso colorati) di vetro, plastica o altri materiali lavorati otticamente, oppure dei fogli di gelatina colorata, che vengono posti davanti all’obiettivo per variare la composizione della luce di cui trattengono una componente di colore. Nella fotografia digitale invece i filtri vengono quasi sempre applicati alla foto in fase di ritocco, quindi solo dopo aver eseguito lo scatto, e consentono regolazioni pressoché infinite, aumentando esponenzialmente la creatività. Un filtro ancora utile e non sostituibile è il filtro nd, che diminuisce la quantità di luce che raggiunge il sensore (o la pellicola), permettendo così di scegliere un tempo di esposizione più lento o un diaframma più aperto e di creare effetti molto interessanti. Altri filtri, detti polarizzatori consentono poi la polarizzazione dell’immagine.
  • Filtro polarizzatore: Particolare filtro che consente la polarizzazione dell’immagine, ossia l’eliminazione dei riflessi (provenienti dall’acqua e in generale da ogni superficie riflettente), aumentando anche la saturazione. I migliori filtri polarizzatori (detti circolari) sono formati da due lenti sovrapposte: ruotandole è possibile regolare l’intensità della polarizzazione.
  • Fltro ND (neutral density): Questo filtro, esistente in varie tonalità di grigio, riduce in proporzione la quantità di luce che attraversa l’obiettivo, senza però alterare le caratteristiche cromatiche dell’immagine. Molto utile in tutte le situazioni in cui è necessario aumentare il tempo di esposizione senza variare l’apertura del diaframma. I filtri ND sono individuati da un valore numerico (ad es. x4, x8) che indica quanta luce sono in grado di assorbire.
  • Firmware: Programma che consente il funzionamento di numerose componenti e applicazioni della fotocamera, reflex o compatta. Può essere opportuno controllare periodicamente se il costruttore della fotocamera ha reso disponibili degli aggiornamenti firmware per migliorarne le funzionalità e le prestazioni. Questi aggiornamenti sono normalmente reperibili dai siti internet delle case costruttrici.
  • Fish eye: Letteralmente “occhio di pesce”: obiettivo grandangolare spinto, in grado di avvicinarsi ad un angolo di ripresa di 180°. Grazie alla notevole distorsione che genera (a causa dell’angolo di campo estremamente esteso l’immagine risulta tonda) è molto adatto per fotografie creative e surreali. Gli obiettivi fisheye si suddividono nei tipi diagonali (che offrono la piena copertura del fotogramma) e circolari (che proiettano un’immagine rotonda all’interno del fotogramma).
  • Flare: Formazione luminosa circolare e di vari colori generata da una particolare angolazione della luce (soprattutto solare) che attraversa l’obiettivo. Questo riflesso, se indesiderato, può essere corretto grazie ad un intervento mirato di fotoritocco. Vedi anche bagliore.
  • Flash: Originariamente costituito da una torcia con polvere di magnesio che si accendeva una sola volta (poi doveva essere ricaricato), oggi il flash è incorporato in tutte le fotocamere digitali, reflex o compatte, ed è capace di generare numerosissimi lampi di luce uno dietro l’altro (usando lampade allo xeno). La potenza di un flash è espressa tramite il numero guida (NG) in metri. Questo numero indica quale diaframma utilizzare per avere una corretta esposizione di un soggetto posto ad una certa distanza dal flash, attraverso questa formula: diaframma (f) = ng / distanza dal soggetto. Ad esempio, con un numero guida 20 ed un soggetto posto a 5 metri il diaframma dovrà essere f/4. Il flash è uno strumento molto utile in varie situazioni, ma il suo utilizzo non è privo di controindicazioni. Un flash che illumina il soggetto in maniera frontale e diretta, ad esempio, genera riflessi su superfici lucide come vetri e lamiere, crea ombre troppo marcate sullo sfondo dietro al soggetto, riduce i dettagli delle zone colpite e spesso genera l’effetto occhi rossi. A tutti questi difetti è comunque possibile rimediare con interventi mirati di fotoritocco. La versatilità del flash si permette svariate possibilità di utilizzo: flash di riempimento, flash di rimbalzo, flash sulla seconda tendina, open flash, eccetera.
  • Flash di riempimento: Il flash non si usa solo “al buio”: questa modalità d’uso del flash (anche detta Fill in flash) consente, in una scena in controluce e con il soggetto molto contrastato, di schiarirlo e metterlo in risalto, gestendo la luminosità ed equilibrando l’intera immagine.
  • Flash di rimbalzo: Tecnica che sfrutta il lampo emesso dal flash per ottenere un’illuminazione più morbida e naturale della scena e anche per eliminare il difetto degli occhi rossi. Il flash (esterno) viene direzionato verso una superficie riflettente (un muro bianco, un soffitto, eccetera) in modo da far arrivare la sua luce sul soggetto non in via diretta ma, appunto, “di rimbalzo”.
  • Flash esterno: Alcune fotocamere hanno una connessione che si chiama “contatto caldo” (in inglese Hotshoe) che consente di utilizzare un flash aggiuntivo oltre a quello normalmente incorporato nella fotocamera. Con questo si ha la possibilità di utilizzare una luce lampo posizionata in un punto anche distante da quello in cui si trova la macchina fotografica, per meglio illuminare le zone interessate. I flash utilizzati negli studi sono di grandi dimensioni e vengono impiegati con svariati accessori che ne modificano la potenza, la qualità e le dimensioni della luce emessa.
  • Flash sulla seconda tendina: Con questa frase si intende l’attivazione del flash alla chiusura della seconda tendina dell’otturatore e quindi al termine del periodo di scatto (solitamente, invece, il flash scatta all’aprirsi della prima tendina, quindi all’inizio del periodo di esposizione). In questo modo i soggetti in movimento, colpiti dal flash solo alla fine, appaiano in modo più naturale e con la scia del movimento alle loro spalle anziché dentro o davanti ad essi.
  • Focale fissa: È la lunghezza focale di cui sono dotati gli obiettivi a ingrandimento fisso, cioè privi di zoom. Gli obiettivi con lunghezza focale fissa (anche detti focus free) hanno normalmente un’apertura massima di diaframma maggiore rispetto agli obiettivi zoom.
  • Fotogenia: La fotogenia è una qualità di alcuni soggetti che consente loro di apparire esteticamente attraenti in fotografia, a volte anche più attraenti che nella realtà. Contrariamente a quanto si possa pensare, la fotogenia non è un concetto astratto o arbitrario: determinate caratteristiche somatiche, non necessariamente riproducenti i canoni estetici tradizionali, determinano la buona riuscita o meno di un soggetto in una foto. Paradossalmente, quindi, anche un bel viso potrebbe risultare poco gradevole in foto.
  • Fotomontaggio: Ritaglio e fusione di due o più immagini, per creare una nuova immagine non esistente nella realtà ripresa. I fotomontaggi in passato venivano creati in camera oscura utilizzando maschere e selezioni realizzate con pennelli e inchiostri coprenti su pellicola di acetato. Oggi per realizzare fotomontaggi si utilizza la camera chiara e i programmi di fotoritocco. Generare un fotomontaggio realistico è un procedimento piuttosto complesso e lungo dal momento che non solo occorre scontornare le varie componenti da aggiungere all’immagine originale ma anche controllare e modificare svariati parametri come luci, ombre, colori, prospettiva, messa a fuoco e ogni altro elemento che contribuisce a rendere verosimile il fotomontaggio. Di contro, le possibilità offerte dalla manipolazione digitale delle immagini sono notevoli e spaziano dalla sostituzione dello sfondo all’aggiunta o rimozione di elementi dell’immagine o alla creazione di immagini fotorealistiche completamente inesistenti nella realtà.
  • Full frame: Pieno formato. Indica un sensore di formato pari al formato della pellicola 24x36mm (35mm). Le fotocamere digitali a pieno formato offrono prestazioni elevate e soprattutto sono compatibili con le ottiche nate per la pellicola.
  • Fuoco fisso: Obiettivi semplificati che non prevedono movimenti delle lenti per la messa a fuoco. In queste ottiche la messa a fuoco viene assicurata a tutte le distanze, normalmente a partire da 1 o 2 metri fino all’infinito. Sono a fuoco fisso gli obiettivi delle fotocamere compatte molto economiche e delle fotocamere usa e getta.

G

  • Gamma: La gamma, riferita al monitor di un computer, ne indica la misura della saturazione e del contrasto. Generalmente, i valori di gamma sono compresi tra 1,0 e 2,8 ma possono variare tra 0,1 e 9,99. Normalmente è il sistema operativo ad impostare dei valori di gamma di default: i computer Macintosh utilizzano un valore predefinito pari a 1,8 mentre i computer Windows utilizzano un valore 2,2.
  • Gamma tonale: La gamma tonale di un sensore, analogamente a una pellicola o a una carta da stampa, indica l’ampiezza delle sfumature riprodotte dal supporto. In sostanza, più ampio è il valore della gamma tonale, più precisa sarà la riproduzione da parte del supporto utilizzato dei colori, quindi della foto.
  • Gamma dinamica: Rappresenta la differenza tra le parti più luminose (ad esempio il sole) e quelle più scure (ad esempio una zona d’ombra) dell’immagine. Se una foto presenta zone molto contrastate e contemporaneamente anche zone con molte sfumature, avrà un’ampia gamma dinamica. Diversamente una giornata con il cielo nuvoloso produrrà una foto con scarso contrasto e una bassa gamma dinamica. La cattura di immagini digitali in formato raw con una conseguente alta profondità in bit permette di catturare una notevole gamma dinamica, anche maggiore di quella catturabile da una tradizionale pellicola per diapositive. Solo i sensori migliori, in ogni caso, sono in grado di catturare la complessità di immagini con un’ampia gamma dinamica. Anche se la gamma dinamica di una fotocamera dipende da molti fattori, la gamma dinamica registrabile da un sensore è diversa a seconda che si tratti di una reflex oppure di una compatta: le reflex digitali hanno infatti solitamente sensori più grandi delle compatte e anche i singoli fotodiodi che li compongono sono di dimensioni maggiori e consentono una gamma dinamica superiore.
  • Glossy (carta fotografica): Termine inglese utilizzato per definire la carta fotografica con finitura lucida. Questa carta viene regolarmente utilizzata nella stampa delle comuni fotografie per enfatizzare la saturazione del colore e la nitidezza dei dettagli.
  • Grana: Nella pellicola la grana, ossia la presenza di minuscoli puntini visibili ad occhio nudo, è la diretta conseguenza della struttura degli agglomerati di sali d’argento ed è percepibile specialmente quando si usano alte sensibilità, o quando si effettuano forti ingrandimenti. Nella fotografia digitale con il termine grana si definisce un concetto simile, ossia il rumore digitale. La grana digitale indica quindi il disturbo che viene causato dall’uso di alte sensibilità ISO dei sensori. Vedi anche granularità e granulosità.
  • Granularità: Misura oggettiva della mancanza di uniformità dell’immagine. Si determina misurando la densità di una zona del negativo esposta in maniera uniforme: questa misurazione individua la granularità RMS (Root Mean Square). Alla granularità corrisponde il concetto soggettivo di granulosità.
  • Granulosità: Mancanza di uniformità nell’immagine stampata provocata dai grani e agglomerati d’argento. La granulosità (a differenza della granularità) è una caratteristica soggettiva le cui specifiche non sono ancora state standardizzate.
  • Grigio medio: Valore convenzionale utilizzato per effettuare le misurazioni esposimetriche. Il grigio medio viene fornito da un cartoncino di riferimento con un lato bianco (90% di riflettenza) e uno grigio (al 18% di riflettenza) con una rifinitura di tipo matt, ossia opaca. Su una scala di 11 densità, dal nero assoluto al bianco assoluto, il grigio medio occupa la posizione intermedia. Posizionando il cartoncino in posizione verticale vicino e di fronte al soggetto da riprendere (rivolto con una angolazione intermedia rispetto alla fotocamera e alla sorgente principale di luce) è possibile effettuare una misurazione molto precisa della luce incidente, utile per determinare diversi parametri: la corretta esposizione, la distribuzione delle luci e il controllo dello sfondo. Normalmente la lettura sul cartoncino deve essere effettuata ad una distanza piuttosto ravvicinata.

H

  • High-key (illuminazione): Termine inglese per indicare una particolare illuminazione che genera poco contrasto tra le aree molto illuminate e le zone d’ombra della scena ripresa. L’opposto è l’illuminazione Low-key. L’High-key è anche una tecnica fotografica (opposta sempre alla Low-key): le fotografie realizzate in High-key hanno toni chiari molto intensi e luminosi. Non si tratta di immagini sovraesposte ma di una composizione che tende ad includere soprattutto elementi bianchi o molto chiari.

I

  • Illuminatore AF: Fascio di luce (solitamente rosso) emesso da alcune fotocamere per assistere l’autofocus in condizioni di luce scarse. Grazie alla luce emessa dall’illuminatore, il normale sistema AF passivo (ad es. con metodo a rilevamento del contrasto / differenziale di fase) è in grado di determinare la corretta messa a fuoco anche in condizioni di buio quasi completo.
  • Impugnare la fotocamera: Una corretta impugnatura della fotocamera è fondamentale per non rovinare l’immagine con errori banali e facili da evitare. Per limitare il mosso o il micromosso e avere sempre il pieno controllo dell’inquadratura, si deve fare in modo che mano, braccio e viso siano un tutt’uno con essa. Se si tratta di una compatta, piccola e leggera, è sempre meglio evitare di tenerla con una sola mano (le due mani ai lati della compatta offrono più stabilità) ed imparare a sfruttare ogni base solida di appoggio (ad esempio un mobile, un muretto o un palo della luce); attenzione poi ad errori da fotografi “neopatentati” come le dita o i capelli davanti all’obiettivo o ai vari sensori disposti nella parte frontale della compatta. Se si tratta di impugnare una reflex, il peso e le dimensioni non rappresentano un intralcio perché queste macchine di solito hanno anche un’ergonomia ben studiata. Si utilizzano sempre due mani: la destra brandisce l’impugnatura e sostiene la fotocamera (con il pollice e l’indice liberi per azionare le varie ghiere e i pulsanti di controllo e scatto), la mano sinistra invece sostiene la macchina dal basso, afferrando l’obiettivo (in questo modo si ha anche il controllo dello zoom e della messa a fuoco); in caso di ottiche più pesanti del normale (alcuni teleobiettivi superano tranquillamente i 3kg) si rende comunque necessario un approccio differente e molto saldo. Sia che si tratti di compatte, sia che si tratti di reflex, infine, una buona abitudine consiste nel divaricare leggermente le gambe e disporre un piede leggermente più avanzato dell’altro per avere sempre una buona stabilità. Per approfondire l’argomento, leggi il nostro articolo dedicato.
  • Infinito: Quando un obiettivo si trova ad una distanza dal piano del sensore (o della pellicola) pari alla sua lunghezza focale si dice che è focalizzato sull’infinito: risultano cioè nitidi tutti gli oggetti che si trovano ad una notevole distanza dall’obiettivo.
  • Infrarosso: In generale, le radiazioni infrarosse sono radiazioni invisibili all’occhio umano, superiori a 700mm. I sensori digitali sono molto sensibili a queste radiazioni: le fotocamere digitali sono dotate di un filtro, posizionato davanti al sensore, che elimina quasi completamente queste radiazioni. Con il termine infrarosso, nella sua accezione più comune, si individua una particolare pellicola che cattura anche la banda dei raggi infrarossi. Questo genera una colorazione molto insolita e creativa. L’infrarosso può essere anche in bianco e nero. Gli stessi effetti cromatici possono essere realizzati anche con le moderne fotocamere digitali, attraverso particolari procedure e regolazioni in fase di fotoritocco. Infine, alcune fotocamere digitali sono equipaggiate con un faretto agli infrarossi: esso viene utilizzato per illuminare la scena in caso di ambienti bui.
  • Interpolazione: Calcolo di dati immagine ulteriori rispetto a quelli disponibili. L’interpolazione è il meccanismo attraverso il quale si può aumentare (ma anche ridurre) la risoluzione di un’immagine digitale aggiungendo dei pixel sulla base di quelli esistenti. Il computer calcola una media dei valori dei Pixel adiacenti per inserirne di nuovi al fine di ingrandire l’immagine mantenendo una definizione accettabile. Ovviamente non è possibile spingere questa procedura oltre una certa soglia: la qualità del risultato dipende dalle informazioni presenti nell’immagine di partenza e dalla qualità dell’algoritmo usato. L’interpolazione viene inoltre utilizzata da tutte le fotocamere digitali per determinare i dati relativi al colore.
  • Inquadratura: Porzione di realtà inquadrata e delimitata dall’obiettivo della fotocamera e controllata tramite il mirino (nelle reflex) o il display LCD (nelle compatte). Chi scatta fotografie ha un grande potere: può infatti decidere cosa mostrare e cosa invece escludere e lasciare “fuori campo”, ossia all’esterno del campo visivo dell’osservatore. Esattamente come uno scrittore, il fotografo può scegliere quali “vocaboli” utilizzare per descrivere e rappresentare la realtà delle cose. È inoltre possibile, grazie al fotoritocco, intervenire in seguito sull’inquadratura ottenuta al fine di migliorarla tramite operazioni di cropping. Vedi anche la regola dei terzi.
  • Iperfocale: La profondità di campo di un obiettivo è molto piccola nella messa a fuoco di soggetti vicini, mentre aumenta mettendo a fuoco soggetti distanti. Per ogni apertura del diaframma esiste una distanza di messa a fuoco nota, detta iperfocale, che permette di avere l’immagine a fuoco dalla distanza minima per quella impostata, all’infinito. Conoscere l’iperfocale si rivela utile ad esempio in tutti i casi in cui si fotografa un soggetto in rapido movimento: impostando la messa a fuoco sulla base dell’iperfocale si ha la certezza che il soggetto rientri nella profondità di campo, e quindi sia a fuoco.
  • IS: Acronimo di Image Stabilizer, stabilizzatore d’immagine.
  • iSAPS: Tecnologia sviluppata da Canon, questo acronimo significa intelligent Scene Analysis based on Photographic Space. In pratica, analizzando la distanza e la luminosità del soggetto, la lunghezza focale e l’orientamento orizzontale/verticale della fotocamera, il sistema iSAPS di Canon ricava un profilo del soggetto e lo compara alle proprietà dei soggetti tipici archiviati nel database dalla fotocamera. Sulla base di queste informazioni, la fotocamera adatta quindi i parametri di ripresa (es. esposizione, bilanciamento del bianco, ecc.) alle circostanze.
  • ISO: Significa “International Organization for Standardization”, Organizzazione Internazionale per la Standardizzazione. Semplificando, il termine ISO, derivante dalla fotografia tradizionale (il sistema ISO riunisce infatti i precedenti sistemi ASA/DIN), indica la sensibilità alla luce di un sensore. Più alto è il valore ISO impostato, più facilmente è possibile scattare con luce scarsa, ma più alto sarà anche il rumore digitale creato, ossia la granulosità della foto (è quindi preferibile, se possibile, aumentare il tempo di posa). In realtà la regolazione degli ISO non aumenta né diminuisce la “sensibilità” del sensore. Infatti, diversamente da quello che avviene nelle reflex a pellicola, dove cambiando la pellicola si può variarne la sensibilità alla luce, nei sistemi fotografici digitali un determinato sensore ha una determinata, immodificabile, sensibilità alla luce, legata soprattutto alle caratteristiche costruttive dei fotodiodi che lo compongono. Impostando gli ISO su valori più alti (normalmente la scala ISO varia da 100 fino a 3200) è possibile applicare un’amplificazione al segnale registrato dal sensore al fine di avere un diverso rapporto fra l’esposizione alla luce e la luminosità definitiva dell’immagine risultante.
  • Istogramma: È il grafico della luminosità di un’immagine che permette di valutarne (immediatamente al momento dello scatto oppure in fase di postproduzione) la corretta esposizione e altri importanti parametri. È composto da due assi cartesiani x e y: sull’asse x ci sono i valori che vanno dal bianco al nero, passando dai grigi, mentre sull’asse y il numero di pixel caratterizzati da una determinata luminosità. Se ci saranno molti pixel accorpati nella parte sinistra dell’asse x, l’immagine sarà sottoesposta, al contrario sarà sovraesposta. In sostanza, quindi, l’istogramma mostra i particolari dell’immagine contenuti nelle ombre, nei mezzitoni e nelle luci (rispettivamente a sinistra, al centro e a destra dell’istogramma), al fine di facilitare una buona correzione.

J

  • Joule: Unità di misura che quantifica la potenza di un flash, potenza più comunemente indicata tramite il numero guida.
  • jpeg o jpg (file): Significa “Joint Photographic Experts Group” ed è un formato di file standard per memorizzare le immagini. Definito da un comitato internazionale di esperti, è il formato attualmente più usato in assoluto, soprattutto per il buon rapporto tra qualità e pesantezza. Sfruttando il funzionamento del cervello umano nel percepire forme e colori, infatti, questo formato di file elimina dalle immagini minuscoli dettagli, normalmente impercettibili, comprimendo l’immagine (compressione di tipo “lossy” cioè con perdita di informazioni) con un fattore regolabile a piacere al momento della creazione del file. Ovviamente maggiore sarà la compressione, minori le dimensioni del file, ma anche la qualità della foto. Questo procedimento viene ripetuto ogni volta che il file viene salvato, con un degrado progressivo della qualità. Le estensioni di questo formato sono .jpeg, .jpg, .jfif, .JPG, .JPE, ma la più diffusa in tutte le piattaforme è .jpg.

K

  • Kelvin: In fotografia, scala di riferimento per la misurazione della temperatura del colore di una fonte di luce. Ad esempio, la temperatura della luce solare è di circa 5400 K a mezzogiorno, quella di una lampadina a incandescenza (tungsteno) è di circa 3200 K mentre la luce di una candela è di circa 1800 K. I gradi Kelvin vengono misurati attraverso il termocolorimetro, apparecchio simile ad un esposimetro esterno per misurare la luce, che misura la qualità cromatica ossia se la luce è più o meno blu o gialla.

L

  • Lente addizionale: Le lenti sono i principali elementi ottici che formano gli obiettivi e possono essere concave o convesse, sferiche o asimmetriche, in vetro oppure in materiali con un basso indice di rifrazione. Le lenti addizionali sono accessori ottici con funzione di ingrandimento che si avvitano davanti all’obiettivo della fotocamera. Il fattore di ingrandimento viene indicato in diottrie (2x, 4x, ecc). La lente addizionale non riduce la minima distanza di messa a fuoco.
  • LCD (display): Significa “Liquid Crystal Diode”, diodo a cristalli liquidi. È forse la caratteristica principale che, almeno agli inizi, ha consentito il successo delle fotocamere digitali. Il display LCD, infatti, presente sul dorso delle fotocamere digitali sia compatte sia reflex permette di interagire con la macchina (ad esempio scegliendo l’inquadratura al momento dello scatto) e, soprattutto, consente al fotografo di vedere da subito il risultato dello scatto. Le dimensioni del monitor sono normalmente indicate tramite la lunghezza della sua diagonale espressa in pollici (un pollice equivale a 2,55 cm). I monitor LCD erano spesso causa dell’alto consumo di energia delle digitali, ma questo difetto sta progressivamente scomparendo.
  • Low-key (illuminazione): Illuminazione che genera forti contrasti tra le zone chiare e quelle scure della foto. L’opposto è l’illuminazione High-key. La low key è anche una tecnica fotografica (opposta sempre all’high key) che prevede la riproduzione principalmente in tonalità scure, con piccoli dettagli chiari.
  • Luce: Radiazione luminosa percepita dall’occhio umano. La luce – naturale o artificiale – è l’elemento costituente di ogni fotografia. La luce visibile dall’occhio umano ha radiazioni comprese tra circa 400 e 700 nanometri (nm). Le radiazioni inferiori ai 400 rientrano nell’ultravioletto mentre quelle superiori ai 700 fanno parte degli infrarossi. La presenza contemporanea dei raggi di tutte le lunghezze visibili dell’onda elettromagnetica forma la luce bianca. La luce interagisce con la materia con fenomeni osservabili come l’assorbimento, la trasmissione, la riflessione, la rifrazione e la diffrazione.
  • Luce artificiale: La luce artificiale è la luce (illuminazione) creata dall’uomo. Il suo opposto è la luce naturale, ossia la luce prodotta dal sole. Solitamente si tratta di luce al tungsteno (le normali lampadine), di luce al neon oppure alogena o led. La luce artificiale ha temperature differenti e differenti emissioni cromatiche rispetto alla luce naturale: per questo è necessario impostare la fotocamera sul tipo di illuminazione presente nella scena ripresa, in modo da evitare sgradevoli dominanti (giallo-rosse per la luce al tungsteno ed alogena, verdastre per la luce al neon). Questa operazione è detta bilanciamento del bianco.
  • Luce incidente: Luce che colpisce il soggetto e che viene da esso riflessa. È opportuno misurare con attenzione la luce incidente (vedi grigio medio) per valutare la corretta luminosità che raggiunge il soggetto, evitando una lettura sfalsata dell’esposizione.
  • Luminosità: La luminosità (in inglese brightness) è la quantità totale di luce che una sorgente luminosa appare emettere o che appare riflessa da una superficie. Assieme al contrasto, alla tonalità e alla saturazione contribuisce alla resa finale dell’immagine. Il concetto di luminosità viene anche riferito agli obiettivi. La luminosità di un obiettivo è il valore del diaframma alla massima apertura. Più il valore è basso, più si dice che l’obiettivo è luminoso e quindi in grado di fotografare con meno luce.
  • Lunghezza focale: Misura della distanza tra la lente ed il piano focale che indica la capacità di ingrandimento di un obiettivo. Per le fotocamere digitali compatte è espressa in x (es.: 1x, 2x, ecc.) mentre per le fotocamere digitali reflex (come per le reflex analogiche) è espressa in millimetri, anche se in questo caso si deve quasi sempre effettuare una moltiplicazione (a parte alcune fotocamere digitali equipaggiate di sensore a pieno formato 24×36). Ciò accade perché sulle reflex digitali si montano spesso delle ottiche tarate per le pellicole 24×36, che in questo caso si rapportano invece ad un sensore che, avendo una dimensione inferiore, determina un ingrandimento automatico. In genere si ha una moltiplicazione compresa tra 1,3x e 1,6x: montando un obiettivo da 100mm si otterrà quindi l’effetto di ingrandimento di un obiettivo tra 130 e 160mm. La lunghezza focale considerata più vicina all’impressione prodotta dall’occhio umano è circa 50mm (nelle fotocamere a pellicola 35mm). La lunghezza focale può essere aumentata utilizzando dei piccoli gruppi ottici detti moltiplicatori focali.

M

  • Macro fotografia: Insieme delle regole e tecniche specifiche utilizzate per fotografare soggetti a breve distanza, al fine di ottenere un rapporto di riproduzione almeno pari a 1:2 o 1:1, cioè una dimensione sulla superficie del sensore grande la metà o quanto il soggetto. Uno degli aspetti più complessi da gestire nella macrofotografia è la scarsissima profondità di campo, spesso di pochi millimetri. Molte fotocamere compatte sono dotate di una apposita modalità macro, ma fondamentali sono gli obiettivi macro e i flash anulari dedicati a questa particolare tecnica fotografica.
  • mAh: No, non è un espressione di dubbio… Milliampère per ora: unità di misura della capacità delle batterie. All’aumentare di questo valore aumenta la capacità della batteria di fornire energia.
  • Megabyte (MB): Unità di misura della capacità di memorizzazione dei dati. Equivale circa ad un milione di bytes (1024 kilobytes, da cui megabyte), corrispondendo un byte (carattere) ad otto bit (binary digit, ossia cifra binaria, l’unità di misura del sistema di numerazione binario).
  • Memory card: Supporto di memoria rimovibile su cui le immagini vengono memorizzate nelle fotocamere digitali. È l’equivalente della pellicola nelle fotocamere analogiche. Uno degli standard più diffusi tra le schede di memoria è CompactFlash. Un altro standard è SmartMedia: di dimesioni simili alle CompactFlash, queste schede di memoria sono sensibilmente più lente. Esistono anche standard proprietari, come le schede MemoryStick (standard brevettato dalla Sony).
  • Megapixel (MP): Significa “1 Milione di Pixel” e caratterizza la risoluzione propria di un sensore CCD o CMOS. I MegaPixel sono normalmente usati per misurare la potenza dei sensori, ma in realtà sono un indicatore solo approssimativo della qualità finale dell’immagine, dal momento che essa dipende anche dal funzionamento del sensore stesso, dalla conversione A/D e dalla disposizione dei Pixel sensibili ai vari colori sul filtro posto sul sensore. Senza contare la qualità degli obiettivi utilizzati e…la bravura del fotografo! A parità di MegaPixel, comunque, le reflex consentono ingrandimenti maggiori grazie alla maggior qualità complessiva dell’immagine generata. Per avere buoni risultati in stampa, è consigliabile scegliere una fotocamera da almeno 6 MP, che permette di ottenere stampe discrete fino al formato 30x45cm. MegaPixel e dimensioni massime consigliate per una stampa a 300 dpi: 4 MP = 19x24cm; 5 MP = 21x16cm; 6 MP = 30x45cm; 8 MP = 30x45cm; 11 MP = 40x60cm;
  • Messa a fuoco: Per messa a fuoco si intende comunemente l’operazione con la quale si varia la distanza fra l’obiettivo e il piano del sensore (o della pellicola) per rendere nitidi i contorni di oggetti posti a varie distanze dalla fotocamera. Se la messa a fuoco non è corretta, il soggetto della foto appare sfuocato. Più lontano è l’obiettivo dal piano del sensore (o della pellicola) e più vicini all’apparecchio si trovano gli oggetti a fuoco. L’operazione di messa a fuoco può essere manuale (M o MF) o automatica (A, o AF, ossia autofocus); alcuni obiettivi consentono anche una messa a fuoco manuale permanente, ossia la messa a fuoco manuale in modalità AF (è cioè possibile regolare manualmente la messa a fuoco non appena è completata quella automatica, senza doverla selezionare). Con il termine messa a fuoco si può anche indicare il sistema meccanico attraverso il quale viene materialmente compiuto lo spostamento delle lenti. In questo senso si distinguono i sistemi di messa a fuoco “all-group” (tutti i gruppi di lenti sono spostati insieme lungo l’asse ottico) o “front-group” (si muove solo il gruppo frontale). Entrambi questi sistemi necessitano di una maggiore potenza da parte del meccanismo del drive, e riducono di fatto le velocità di messa a fuoco automatica. Con i sistemi di messa a fuoco interna (il gruppo di messa a fuoco è posto tra la lente frontale e il diaframma) o posteriore (il gruppo è dietro il diaframma) è invece possibile effettuare messe a fuoco più rapide, nonché ridurre le distanze minime di messa a fuoco e ottenere obiettivi più compatti. Gli obiettivi che adottano questi ultimi due sistemi di messa a fuoco sono infine anche più semplici da gestire perché non modificano la lunghezza focale durante la messa a fuoco e, dato che la loro lente frontale non ruota, possono facilitare l’utilizzo dei filtri polarizzatori.
  • Mirino: Dispositivo che permette di scegliere e comporre l’inquadratura, isolando la porzione della realtà che si vuole inserire in fotografia. Esistono varie tipologie di mirino: il mirino ottico o mirino galileiano (composto da due lenti all’interno di una finestrella vicino l’obiettivo; nitido, luminoso ed economico, il mirino galileiano riproduce in maniera piuttosto approsimativa la scena che sarà memorizzata), il mirino a pozzetto (nel quale l’immagine viene riflessa da uno specchio a 45° verso un vetro smerigliato posizionato sopra la fotocamera), mirino reflex a pentaprisma (che riceve l’immagine direttamente dall’obiettivo, anche qui riflessa da uno specchio a 45° verso il pentaprisma che la orienta correttamente; durante lo scatto lo specchio si alza verso il pentaprisma permettendo il passaggio della luce, oscurando al contempo il mirino; rispetto al mirino ottico, riesce a mostrare con maggiore precisione l’immagine che verrà memorizzata), mirino digitale (display LCD, generalmente tipico delle compatte, che visualizza in tempo reale l’immagine acquisita). In genere, all’interno del mirino si trovano anche gli strumenti per valutare la messa a fuoco e l’esposizione del soggetto. Nel mirino galileano si trova il telemetro, mentre nel mirino a pozzetto e nel mirino reflex a pentaprisma è possibile trovare lo stigmometro, la corona di microprismi e l’esposimetro.
  • Misurazione esposimetrica: Misura della quantità di luce che raggiunge la scena o il oggetto ripreso al fine determinare la corretta esposizione. I sistemi per effettuare la misurazione esposimetrica sono diversi. Misurazione multizona o Digital ESP (Digital Electro-Selective Pattern): sistema esposimetrico selettivo multizona che analizza la distribuzione e i livelli di luminosità. Misurazione media con prevalenza al centro, adatto per soggetti con distribuzione omogenea del contrasto. Misurazione spot, che effettua la lettura in una zona ristretta al centro del fotogramma (utile ad esempio nelle riprese in controluce o per i ritratti). Misurazione multi-spot, grazie al quale è possibile effettuare letture su più punti definibili a piacere (la fotocamera si occupa di ricalcolare l’esposizione media dopo ogni lettura).
  • Micromosso: Particolare categoria di mosso che deriva da lievi vibrazioni delle mani del fotografo o della fotocamera (come quelle provocate dal ribaltamento dello specchio nelle reflex) e che si nota su tutta la fotografia (mentre il mosso può essere causato anche dal movimento del soggetto inquadrato e quindi riguardare solo questo). Dipende dal tempo di esposizione ma anche dalla lunghezza focale: un teleobiettivo, infatti, accentua gli eventuali spostamenti della fotocamera, mentre con un grandangolo il micromosso sarà drasticamente ridotto. A volte il micromosso può essere confuso con un vero e proprio errore di messa a fuoco. Il difetto può essere prevenuto limitando le vibrazioni durante lo scatto avvalendosi, nelle reflex, del sollevamento preventivo dello specchio (operazione detta blocco dello specchio), di un monopiede o meglio di un treppiede e di uno scatto flessibile. Il mosso e il micromosso possono essere limitati anche utilizzando particolari obiettivi stabilizzati.
  • Modalità macro: Particolarità costitutiva delle fotocamere digitali, relativa al rapporto gruppo ottico-sensore, che ottimizza la possibilità di mettere a fuoco soggetti molto vicini, ottenendo così un effetto di ingrandimento. I risultati ottenibili con questa modalità, tuttavia, non sono nemmeno paragonabili a quelli decisamente migliori della macrofotografia.
  • Modalità manuale: Particolarità costitutiva delle fotocamere di livello medio alto che si rivolge a chi desidera intervenire creativamente o consapevolmente alla realizzazione di un’immagine. Con il controllo manuale dell’otturatore e del diaframma, ma anche degli altri parametri, il fotografo è in grado di riprendersi il controllo su ogni fattore che influenza la resa finale della foto, senza lasciare che la macchina decida per lui.
  • Modalità notturna: Si utilizza in condizioni di scarsa luce. Con questa funzione presente in molte fotocamere, il diaframma si apre automaticamente al massimo per far entrare la maggior quantità di luce: in questo modo si ottiene il più rapido tempo di esposizione possibile, limitando il mosso.
  • Moiré: Artefatto digitale che in certe condizioni si produce nelle aree di immagine dove si sovrappongono due o più strutture reticolari (linee verticali ed orizzontali). Le moiré possono essere visibili ad esempio quando si fotografa da vicino un tessuto la cui trama si interseca con la griglia della matrice colorata di fronte al sensore. È possibile ridurre questo difetto variando la direzione della luce oppure modificando leggermente l’inclinazione della fotocamera.
  • Moltiplicatore di focale: Accessorio che montato fra il corpo macchina e l’obiettivo permette di aumentare la lunghezza focale di quest’ultimo da 1,4 a 2 volte. Ad esempio, un obiettivo da 200mm con un moltiplicatore 1.4x raggiunge una lunghezza focale effettiva di 280mm. Con un moltiplicatore 2x, questa lunghezza arriva a 400mm. I moltiplicatori tuttavia riducono in maniera più o meno importante la luminosità dell’obiettivo utilizzato.
  • Monocromatica (immagine): Immagine costituita da un solo colore, detto anche foreground (solitamente il bianco) sullo sfondo (background) nero. È anche possibile che l’unico colore sia frutto di un viraggio, quindi l’immagine in bianco e nero di partenza possa essere blu, gialla, eccetera.
  • Monopiede: Supporto per apparecchi fotografici che aiuta a mantenere l’apparecchio stabile durante la ripresa. È costituito da una gamba ad allungamento telescopico e da una testa a snodo su cui viene avvitata la fotocamera. Per questa sua estrema semplicità risulta pratico e leggero da trasportare, ma decisamente meno efficace di un treppiede nel limitare il micromosso.
  • Mosso: In inglese motion blur, è un difetto di nitidezza (simile ad una sfocatura o scia) che riguarda l’intera immagine o una sua parte (ad esempio il soggetto inquadrato) dovuto al movimento della fotocamera oppure al movimento dei soggetti inquadrati durante l’esposizione. Una particolare categoria di mosso è il micromosso. Quando non è un effetto ricercato e creativo (ad esempio per enfatizzare la velocità di un soggetto, tecnica del panning), il mosso è uno dei difetti peggiori della foto e molto difficilmente correggibile. Il mosso può dipendere dalla rapidità con la quale gli oggetti inquadrati si spostano, dal tempo di esposizione e dalla stabilità della fotocamera durante lo scatto. È quindi consigliabile l’utilizzo di un supporto stabile, come un treppiede, oppure l’utilizzo di tempi di esposizione brevi (anche se questo naturalmente costringe a ricercare un compromesso tra apertura del diaframma e tempo di esposizione che influenzerà a sua volta luminosità, contrasto e profondità di campo dell’immagine finale). Il mosso e il micromosso possono essere limitati anche utilizzando particolari obiettivi stabilizzati.

N

  • Ni-MH (batterie): Significa “Nichel Metal Idrato” e caratterizza le batterie ricaricabili di ultima generazione che, a differenza delle nichel-cadmio (NiCd), non hanno il problema dell’effetto memoria (possono quindi essere caricate anche se non completamente scariche) e raggiungono un amperaggio molto alto a vantaggio di una lunga durata operativa.
  • Nitidezza: Concetto soggettivo che indica la pulizia e la precisione dei contorni dei soggetti fotografati. La nitidezza di un’immagine è prodotta da una serie di fattori, tra i quali la precisione della messa a fuoco, l’obiettivo utilizzato, la stabilità della fotocamera durante lo scatto, il sensore, particolari settaggi di alcune fotocamere, nonché, per le immagini stampate, l’obiettivo dell’ingranditore e il supporto di stampa. La nitidezza è connessa al contrasto: i fattori che aumentano il contrasto tendono anche a migliorare l’apparenza di nitidezza della foto.
  • Numero guida (NG): Valore che esprime la massima potenza di un flash, di solito riferita ad una sensibilità pari a 100 ISO. Il numero guida si ricava moltiplicando la portata massima in metri per il valore del diaframma. Quindi ad esempio NG 40 indica la possibilità di illuminare un soggetto fino a 5m di distanza con diaframma f/8, ma anche 10m con diaframma f/4, 20m con diaframma f/2, e così via. I flash incorporati nelle fotocamere hanno numeri guida di circa 10 – 20, i flash compatti circa 20 – 40 e i flash a torcia circa 45 – 60 NG.

O

  • Obiettivo: Lente o gruppo di lenti costruite per catturare la luce inviandola alla pellicola o al sensore. Caratteristiche di ogni obiettivo sono la lunghezza focale, l’apertura o luminosità, la profondità di campo, la messa a fuoco e in generale la capacità di catturare dettagli (vedi MTF). Ogni obiettivo è caratterizzato, in misura più o meno evidente, da aberrazioni cromatiche e aberrazioni sferiche (solo il foro stenopeico, lontanissimo predecessore degli obiettivi, è esente da quasi tutte le aberrazioni e possiede una profondità di campo praticamente illimitata). Agli obiettivi delle reflex (ma anche di alcune compatte) possono essere applicati vari accessori, come ad esempio filtri, paraluce e moltiplicatori di focale.
  • Obiettivi apocromatici : Anche detti semplicemente “APO“, questi obiettivi sono in grado di eliminare quasi completamente le aberrazioni cromatiche. Sono infatti dotati di speciali lenti costruite l’aggiunta di elementi come il boro, il bario, il fosforo e oggi soprattutto il lantanio, materiali a bassa dispersione che permettono a questi gruppi ottici di avere un minor indice di rifrazione della luce: la capacità delle lenti di rifrangere in maniera analoga tutti i colori dello spettro visibile consente di ottenere immagini di qualità straordinariamente buona. Per queste loro caratteristiche sono ottiche generalmente molto costose.
  • Obiettivi decentrabili: Sofisticati obiettivi che, con i loro movimenti di basculamento (o basculaggio) e di decentramento, consentono di ampliare le possibilità fotografiche. Il movimento di decentramento aumenta infatti la profondità di campo, anche con apertura massima del diaframma e consente di mettere a fuoco l’intero soggetto. Inoltre, i movimenti di basculamento correggono la distorsione trapezoidale in modo che il soggetto non risulti distorto. Le deformazioni prospettiche vengono causate da un punto di ripresa “errato” (ad esempio un palazzo molto alto fotgrafato dal basso verso l’alto). Grazie a questi obiettivi è quindi possibile effettuare correzioni prospettiche delle foto direttamente in fase di ripresa e non in seguito con programmi di fotoritocco.
  • Obiettivi grandangolari: Obiettivi di lunghezza focale più corta del normale, di solito al di sotto dei 35mm, con un campo visivo quindi più ampio (pari o maggiore ai 60°, in base alla lunghezza focale). Rispetto alle ottiche con focale superiore, i grandangolari hanno una maggior profondità di campo ed offrono una prospettiva alterata che porta ad esagerare la proporzione dei soggetti in primo piano facendoli apparire, rispetto alla realtà, molto più grandi di quelli in secondo piano. Per le sue caratteristiche, il grandangolo è impiegato soprattutto per la ripresa di grandi soggetti (panorami, edifici etc.) che non rientrerebbero nell’angolo di ripresa di ottiche dalla focale superiore, anche se uno dei principali effetti di questi obiettivi, che si cerca in genere di evitare, è la distorsione dell’immagine (ad esempio le cosiddette linee cadenti che compaiono nelle riprese architettoniche effettuate con la camera inclinata). Nel caso in cui l’angolo si avvicini o superi i 180°, si parla di obiettivo Fish-eye.
  • Obiettivi macro: Gli obiettivi dedicati alla macrofotografia costruiti in modo tale da catturare dettagli che sarebbe impossibile osservare ad occhio nudo. Normalmente un obiettivo fotografico ha la possibilità di mettere a fuoco ad una distanza variabile tra il metro e una cinquantina di centimetri. Gli obiettivi macro, invece, consentono di mettere a fuoco anche molto più vicino, a pochissimi centimetri, offrendo così la ripresa di spettacolari ingrandimenti anche dei soggetti più minuti.
  • Obiettivi stabilizzati: Alcuni obiettivi di alta gamma, quindi generalmente costosi, dispongono di uno stabilizzatore di immagine incorporato (Nikon lo chiama VR, Canon IS) che riduce le possibilità che una foto venga mossa a causa delle vibrazioni della fotocamera (si parla in questi casi di micromosso). Il funzionamento di un obiettivo stabilizzato si basa su un complesso schema ottico provvisto di sensori giroscopici che monitorizzano i movimenti bruschi e da micromotori che correggono meccanicamente la posizione delle lenti, ottenendo un effetto uguale e contrario (sia lungo l’asse orizzontale sia lungo l’asse verticale della fotocamera) che neutralizza le vibrazioni. Lo stabilizzatore è particolarmente utile nel caso di foto in primo piano e in tutte le situazioni in cui non è possibile utilizzare un treppiede. Garantendo riprese nitide fino a tre stop in meno rispetto ai modelli tradizionali, gli obiettivi stabilizzati possono essere utili anche quando l’uso del flash non è permesso o desiderato.
  • Obiettivi zoom: Sono l’equivalente di due o più obiettivi con lunghezza focale fissa contenuti in una sola unità. Grazie alla capacità di inquadrare porzioni di spazio variabili gli zoom sono molto utili e versatili, anche se a volte meno luminosi e più ingombranti degli altri obiettivi. A seconda del range di lunghezze focali che raggiunge, uno zoom si può collocare nella fascia delle lunghezze focali dei teleobiettivi (sopra i 50 mm), dei grandangoli (sotto
  • Occhi rossi: Difetto della foto dovuto all’incapacità dell’iride di restringere la pupilla in maniera sufficientemente rapida allo scattare del flash: la luce del flash attraversa così la pupilla, dilatata a causa dell’oscurità dell’ambiente, e viene a sua volta riflessa dai vasi sanguigni dietro la retina, ricca di sangue, generando questo effetto. L’effetto occhi rossi è più pronunciato nei soggetti con occhi grigi o blu, nei portatori di lenti a contatto e nei bambini. Gli “occhi rossi” in foto possono venire anche agli animali, ma in questo caso il colore sarà diverso: nei cani, ad esempio, gli occhi possono risultare blu, mentre nei gatti, il colore che si genera può essere giallo, rosa o verde. Questo difetto può essere prevenuto utilizzando flash esterni orientati verso una superficie riflettente chiara (per esempio un muro o il soffitto: è la tecnica dell’flash di rimbalzo) e, più in genere, evitando di allineare il flash con l’obiettivo. Può essere utile anche chiedere al soggetto di non guardare direttamente nell’obiettivo e aumentare la luminosità dell’ambiente, in modo che la pupilla si chiuda maggiormente. Alcune fotocamere dispongono anche di un’apposita funzione di riduzione degli occhi rossi.
  • Open flash: Tecnica di illuminazione (utilizzata originariamente per il lampo al magnesio) che consiste nell’eseguire più scatti del flash ad otturatore aperto. Questa tecnica permette di sfruttare la luce del flash per illuminare in maniera controllata la scena e, contemporaneamente, di cogliere anche le luci dell’ambiente grazie ad un tempo di esposizione più lungo. Per fotografare con l’open flash si posiziona la fotocamera sul treppiede, si imposta qualche secondo di esposizione, e nel tempo dell’esposizione si fa scattare il flash più volte, illuminando il soggetto da varie angolazioni ed ottenendo così un effetto vicino a quello che si otterrebbe disponendo diversi flash.
  • Otturatore: Meccanismo che, posto tra l’obiettivo ed il sensore o la pellicola, si apre permettendo il passaggio della luce, e si richiude completamente dopo un intervallo di tempo prestabilito, detto tempo di esposizione (del sensore alla luce). Gli otturatori si dividono in meccanici ed elettronici. Nel primo tipo rientrano gli otturatori centrali (con meccanismo a iride: come il diaframma, questi otturatori si chiudono dall’esterno verso l’interno; ormai praticamente inutilizzati) e gli otturatori a tendina (sono gli otturatori standard, solitamente composti da due tendine – gommate o metalliche – che scorrono in due direzioni). La seconda tipologia, otturatori elettronici, è molto utilizzata soprattutto nelle fotocamere e videocamere digitali. Si tratta di otturatori “virtuali”, attuati da un meccanismo elettronico interno al CCD che funziona attivando e disattivando il CCD stesso in modo che non registri la luce anche se questa lo colpisce.

P

  • Panning: Tecnica di ripresa che consiste nel seguire con l’obiettivo un soggetto in movimento, mantenendolo sempre in una data porzione dell’inquadratura. Questa tecnica consente di rendere nitido il soggetto catturato e, contemporaneamente, di far apparire lo sfondo mosso secondo la direzione del soggetto medesimo. Le immagini ottenute con il panning comunicano un grande senso di velocità e dinamismo.
  • Pan-focus: Obiettivo non dotato di regolazione della messa a fuoco (o particolare posizione di un obiettivo dotato di messa a fuoco) che sfrutta il concetto di iperfocale. In alcune macchine fotografiche è uno speciale programma che disabilita l’autofocuse regola il diaframma e la messa a fuoco in modo da avere a fuoco tutto quello che si trova entro certe distanze. Potendo fare a meno dell’autofocus, l’otturatore può scattare senza il ritardo richiesto dalla messa a fuoco. Anche le fotocamere a fuoco fisso si basano su questo principio.
  • Pantone: Popolare marca di inchiostri per tinte piatte. Il Pantone Matching System (PMS) è un catalogo di inchiostri a cui si può fare riferimento grazie a valori numerici specifici, accessibili dal selettore di colori personali di Photoshop.
  • Paraluce: Protezione (solitamente plastica, di varie forme e dimensioni) applicata sulla parte anteriore dell’obiettivo per evitare che la luce incidente causi riflessi indesiderati, aloni e immagini fantasma. In caso di riflessi comunque visibili, un successivo intervento di fotoritocco può correggere con precisione le aree della foto alterate da queste diverse concentrazioni di luce.
  • Pennello: Il “Pennello” è uno strumento molto utile e versatile presente (nella sua accezione immateriale) in numerosi programmi di editing e fotoritocco delle immagini. Oltre alla forma e alla dimensione (diametro), i migliori programmi offrono numerose e complesse regolazioni dello strumento pennello, come ad esempio angolo, rotondità, durezza e spaziatura. Queste opzioni, gestite con la necessaria esperienza, consentono di definire l’aspetto generale del tratto di pennello e di intervenire quindi sulle immagini, ad esempio una pelle da truccare, con estrema precisione e accuratezza.
  • Pentaprisma: Prisma ottico a cinque facce montato all’interno del mirino delle reflex che permette di visualizzare correttamente (ossia non capovolta) l’immagine proveniente dallo specchio.
  • Piano focale: Piano in cui si forma l’immagine, posto dietro l’obiettivo. L’immagine sarà perfettamente a fuoco solo se tutti i punti ripresi dall’obiettivo sono posti alla stessa distanza dal piano. Affinché quindi l’immagine proiettata appaia nitida, questo piano deve corrispondere esattamente alla posizione del sensore: se il piano focale si trova leggermente avanti o dietro il piano del sensore l’immagine risulta fuori fuoco.
  • Pict (file): Formato di file per immagini utilizzato da Macintosh, con possibilità di compressione jpeg.
  • Pixel: Singolo e più piccolo elemento di un’immagine digitale, paragonabile ad una tesserina dell’intero mosaico (immagine). Il nome deriva appunto da una contrazione di Picture Elements (Pic El). La forma dei pixel è generalmente rettangolare. I pixel sono contenuti nel file dell’immagine finale ma non nel sensore, composto da fotodiodi. Vedi anche risoluzione.
  • Png (file): Significa “Portable Network Graphics” ed è un formato di file sviluppato per sostituire il formato gif, anche se non si è mai diffuso. In comune con il formato gif, i file png hanno una compressione lossless, cioè senza perdita di informazioni, ma dispone di ben 254 livelli di trasparenza (mentre i file gif ne supportano uno solo) e supporta 48 bit per Pixel.
  • Polarizzazione: La luce si propaga in tutte le direzioni. Quando però la luce viene riflessa da una superficie lucida (come ad esempio il mare o un grattacielo), le vibrazioni avvengono su un solo piano. Si dice allora che la luce viene polarizzata. Esistono dei filtri, detti polarizzatori, che possono impedire alla luce che si propaga su un piano di raggiungere il sensore (o la pellicola). È possibile ottenere questo effetto anche in una successiva fase di fotoritocco, eliminando o limitando i riflessi indesiderati.
  • Polvere: Oltre a non essere bella sui mobili di casa, la polvere è una sgradevole compagna della fotografia digitale. I granelli di polvere e più in generale tutte le micro particelle in sospensione nell’aria finiscono spesso per infilarsi all’interno delle reflex e si rendono visibili nella foto sotto forma di piccole macchioline scure, percepibili soprattutto nelle zone uniformi ed illuminate dell’immagine. Il sensore, caricato elettricamente, funziona un po’ come un cattura polvere e, ad ogni cambio di obiettivo, ne attrae una piccola quantità. La polvere è fastidiosa, ma è anche possibile limitarla ed ottenere foto pulite. Una reflex è fatta per poter sostituire le ottiche: non cambiare spesso obiettivo per paura di sporcare il sensore non ha senso; più utile è cambiare gli obiettivi in assenza di vento, spifferi o altro. Quando questo non è possibile, un semplice sacchetto di plastica dove insierire macchina e obiettivo da sostituire rappresenta un riparo sicuro. Se la foto è scattata con un sensore impolverato, l’unica soluzione per eliminare lo sporco dall’immagine è il fotoritocco. Alcune reflex (solo per citare le più comuni: Canon EOS 400D, Nikon D60, Olympus E-300, Pentax K10D, Sony Alpha DSRL-A100) sono dotate di un sistema antipolvere che “scuote” la polvere dal sensore evitando il suo depositarsi. Ovviamente, però, la polvere all’interno della macchina ci rimane, ed è sempre pronta a tornare sul sensore… Vedi anche pulizia del sensore.
  • Porta: Tipo di collegamento tra la fotocamera digitale e il computer. La porta può essere seriale, USB, FireWire, ad infrarossi, Bluetooth, eccetera. La più diffussa delle porte per connettere la fotocamera al computer è la USB, veloce e di facile utilizzo. Normalmente è comunque preferibile scaricare le immagini sul computer utilizzando un apposito lettore di memory card: il download dei files risulta più rapido.
  • Posterizzazione: Artefatto digitale che compare nelle immagini elaborate in maniera molto profonda e che ne compromette la qualità complessiva. La posterizzazione si manifesta nella mancanza di transizioni morbide e fluide da un colore all’altro e nella comparsa di pixel di colori errati ben visibili. In un’immagine posterizzata alcune informazioni della gamma tonale o della gamma dinamica sono andate completamente perse a causa delle regolazioni spinte dei livelli, delle curve, della saturazione , ecc., e quindi le transizioni di sfumature (nei colori o nelle tonalità di bianco e nero) non sono graduali ma brusche e molto “artificiali”. Per verificare la presenza di posterizzazione in un’immagine digitale è molto utile osservare gli istogrammi.
  • PPI: Significa “Pixel Per Inch”, pixel per pollice. Misura della quantità di pixel presenti su una linea lunga un pollice (ossia 2,54 cm). Si utilizzano i PPI per definire la qualità di un’immagine visualizzata su un monitor o da un proiettore digitale: maggiore è il numero dei pixel, maggiore è il dettaglio e la qualità di immagine complessivamente ripodotta dal monitor o dal proiettore digitale. Un’immagine fotografica visualizzata su schermo ha una risoluzione di 72 o 96ppi, a seconda della dimensione del monitor e del numero dei pixel che il computer invia al monitor tramite la scheda video; per una buona stampa sono invece necessari 300dpi.
  • Primo piano: Tipo di inquadratura che cattura, nei ritratti, l’immagine del volto e a volte di parte del collo. Il termine si utilizza anche per indicare gli oggetti posti tra la fotocamera e lo sfondo (o secondo piano).
  • Priorità di diaframma (esposizione a): Automatismo dell’esposizione (indicato anche con la sigla AV o AP e disponibile solo sulle fotocamere dotate di otturatore a controllo elettronico dei tempi) che permette di impostare un dato valore di diaframma e lasciare all’esposimetro  della fotocamera il compito di calcolare il tempo di esposizione più appropriato. Lavorando con questo automatismo è possibile controllare la profondità di campo.
  • Priorità di tempo (esposizione a): Automatismo dell’esposizione (indicato anche con la sigla TV o SP e disponibile solo sulle fotocamere dotate di otturatore a controllo elettronico dei tempi) che permette di impostare un dato valore di tempo di esposizione e lasciare all’esposimetro della fotocamera il compito di calcolare il diaframma più appropriato. Lavorando con questo automatismo è possibile controllare il congelamento dell’immagine o al contrario l’impressione dello scorrere dell’azione.
  • Profondità di campo: Zona che risulta nitida davanti e dietro al piano di esatta messa a fuoco. È inversamente proporzionale all’ampiezza del fascio di luce catturato dall’obiettivo, quindi più chiuso è il diaframma, maggiore è la profondità di campo. Diaframmi molto aperti consentono di sfruttare l’effetto della profondità di campo per porre in maggior risalto il soggetto in primo piano, lasciando sfocato lo sfondo. Sulle fotocamere digitali compatte, che hanno tutte obiettivi abbastanza stretti, non è un effetto molto evidente.
  • Profondità colore: Definisce il numero di sfumature di colore che un sensore (di una fotocamera o uno scanner) è in grado di registrare. E espressa in bit: 1 bit equivale a due tonalità (e quindi il punto può essere soltanto o bianco o nero), mentre con 2 bit si hanno quattro diverse combinazioni: bianco, nero e due tonalità di grigio. La profondità in bit di un monitor è invece il numero di colori visualizzati dal monitor e viene impostata come preferenza del sistema operativo; le opzioni più comuni sono: 256 colori (8 bit), migliaia di colori (16 bit) o milioni di colori (32 bit). Una rappresentazione realistica dei colori si può ottenere con una profondità colore di 8 bit per colore primario, ossia una profondità colore complessiva di 24 bit.
  • Pulizia del sensore: Pulire il sensore di una fotocamera è un’operazione delicata che molti fotografi svolgono regolarmente e che tutti i possessori di una reflex dovrebbero, prima o poi, imparare a compiere. La pulizia consiste essenzialmente nella rimozione dei micro granelli di polvere e dei piccoli peletti depositati sopra il sensore. Queste micro particelle entrano nella fotocamera soprattutto durante il cambio delle ottiche e possono creare delle piccole, odiosissime, macchioline scure sulle immagini scattate.
    Operazione preliminare alla pulizia del sensore è… scoprire se serve! Infatti, a meno che le particelle non siano dei micro-macigni, non è sempre facile individuarle e a volte la polvere è impressa anche su foto all’apparenza pulite. Un metodo sicuro per stanare la polvere sul sensore è scattare una foto ad un soggetto luminoso e uniforme (un cielo terso e senza nuvole va benissimo) con la focale più lunga e chiudendo al massimo il diaframma: in questo modo è possibile individuare tutti lo sporco attaccato al sensore. Se al posto del cielo vedi una bella pelliccia di dalmata, è il momento dell’operazione antipolvere.
    L’operazione richiede una ventina di minuti, un po’ di pratica e un ambiente pulito e privo di spifferi (potrebbero sollevare nuova polvere). è buona norma lavarsi mani, braccia e faccia prima di iniziare, in modo da evitare di far cadere sul sensore cellule morte di pelle, capelli, peletti o altro; indossare guanti di lattice monouso è altrettanto consigliabile. Ora che sei più professionale di un chirurgo in sala operatoria, leva l’obiettivo, fai alzare lo specchietto (in tutte le reflex c’è una funzione apposita) e inizia a soffiar via i corpuscoli più grossi con una apposita pompetta. Le migliori pompette sono…quelle per clisteri! Ebbene sì. Anche se il tuo intestino sta benissimo, entra in farmacia compra una pompetta rossa e risparmia soldi in altre attrezzature. Evita di toccare il sensore con pennellini o qualsiasi altro oggetto al di fuori di quello che leggerai tra poco. Durante questa operazione di soffiaggio fai attenzione a non toccare mai le parti interne alla fotocamera, tienila ben salda con una mano e capovolta a testa in giù, come se dovessi fotografare il pavimento (in questo modo la polvere soffiata cade a terra e non continua a veleggiare pericolosamente nell’aria attorno). Terminato il soffiaggio, che asporta molta ma non tutta la sporcizia, è il momento della pulizia vera e propria. Per effettuarla occorrono due cose: una o più “spatoline” e un liquido specifico per la pulizia. Trovi tutto in un negozio specializzato. Occorre una spatolina delle esatte dimensioni del sensore (le dimensioni in mm sono indicate nel libretto della fotocamera); evita il fai-da-te creando una spatolina con ad esempio una scheda telefonica ritagliata: graffiare un sensore per non spendere pochi euro non è geniale. Le spatoline in plastica morbida pronte all’uso sono avvolte in un piccolo panno sintetico non abrasivo, privo di elementi contaminanti, soffice ed assorbente (anche qui: evita dei sostituti economici tipo la carta di riso) e le migliori sono confezionate una ad una in maniera pressoché sterile. Il liquido di pulizia è generalmente una soluzione ad alta concentrazione di metanolo, dall’evaporazione (volatilità) velocissima, acquistabile anch’esso in un negozio specializzato. La procedura di pulizia si effettua in tre momenti: mettere due o quattro (non di più) gocce di liquido sul panno della spatolina, passare la spatolina sul sensore, attendere la completa evaporazione ed eventualmente ripassare. Il momento più delicato è chiaramente il passaggio della spatolina sul sensore. La pressione da esercitare è poca, per intendersi più o meno quella che si esercita con una matita su un foglio di carta, e il passaggio deve essere preciso: si parte da un lato del sensore (ad esempio il sinistro) e si arriva all’altro, non troppo rapidamente, dopodiché si cambia lato della spatolina e si ritorna indietro. Grazie a questa doppia passata (sempre con il lato pulito della spatolina), viene asportata la quasi totalità dello sporco. La spatolina non va riutilizzata. Completata questa operazione richiudi tutto e prova, scattando, a vedere se tutti i granelli se ne sono andati; diversamente ripeti l’operazione. Per uno sporco particolarmente ostinato possono essere necessarie anche due o tre spatoline (quindi quattro o sei passate). Dopo i giustificati timori della “prima volta”, ti accorgerai che non è così difficile e che il sensore di una fotocamera (ricoperto e protetto dal filtro low-pass o anti aliasing) non può graffiarsi se utilizzi gli strumenti adeguati!
    In alternativa alla pulizia casalinga, si può portare la fotocamera in un centro appositamente attrezzato, ma con molta meno soddisfazione e un po’ di soldi.

Q

R

  • Range dinamico: Differenza misurabile tra il colore più chiaro e il più scuro che un sistema può distinguere o creare. Il termine è un sinonimo di gamma dinamica.

  • Raw (file): La maggior parte delle fotocamere digitali utilizzano per salvare le immagini il formato jpeg, che occupa poco spazio nella memoria ma causa un decadimento della qualità proporzionale all’aumentare della compressione utilizzata. Le fotocamere di fascia alta consentono invece di utilizzare anche il formato raw (dall’inglese “grezzo”), che racchiude cioè i dati puri provenienti dal sensore, senza alcuna compressione e prima che venga eseguita una qualsiasi manipolazione dei dati stessi. Questo particolare formato di file garantisce così di non perdere informazioni ed è in grado di catturare i dati fino a 14 bit. Spesso lo si paragona per questo al “negativo” delle macchine a pellicola. L’unico svantaggio dei file raw è che richiedono tempo e spazio per essere archiviati in memoria (sono file abbastanza grandi) e devono essere necessariamente gestiti da un software apposito (fornito dal costruttore della fotocamera oppure prodotto da grandi case come Lightroom della Adobe o Aperture della Apple) che ne estrae numerosi dati come il bilanciamento del bianco, il contrasto ecc. per applicarli all’immagine. Il raw non è un formato standard e ogni costruttore ha un proprio formato raw con caratteristiche proprie: ecco perché una scheda di memoria contenente foto salvate in formato raw, ad esempio, non può essere portata in un foto laboratorio per una stampa immediata dei files, ma è necessaria una preventiva elaborazione dei files in essa contenuti ed una loro conversione in un differente formato (generalmente il tiff o il jpeg).
  • Reciprocità (regola della): La regola della reciprocità mette in relazione i parametri di scatto: tempo, diaframma e sensibilità ISO. Ad esempio si ottiene la stessa quantità di luce aumentando il tempo di una unità (stop) e diminuendo l’apertura di uno stop.
  • Reflex (fotocamere): Anche dette SLR (Single Lens Reflex), sono le fotocamere dotate di un pentaprisma e di uno specchio, posizionato a 45° rispetto l’obiettivo. Lo specchio riflette la luce proveniente dall’obiettivo verso il mirino ottico attraverso il quale si vede esattamente (quasi tutto) il campo inquadrato e come verrà la foto. Al momento dello scatto lo specchio si solleva (rendendo per questo istante invisibile la scena al fotografo) in modo che la luce raggiunga l’elemento sensibile (il sensore o la pellicola). Le fotocamere reflex, generalmente equipaggiate di sensori di buona qualità (le migliori dispongono di sensori “pieno formato” ossia delle stesse dimensioni del negativo da 35mm delle fotocamere analogiche), danno al fotografo la possibilità di scegliere le ottiche intercambiabili da utilizzare e più in generale consentono di controllare ogni parametro che genererà l’immagine, con estrema precisione. Per questi motivi richiedono un buon livello di conoscenza dei meccanismi di funzionamento e di cattura della luce. Possono essere dotate di numerosi accessori, come flash esterno, scatto flessibile, filtri, pacchi batteria supplementari, eccetera.
  • Regola dei terzi: Regola di composizione dell’immagine. Si applica dividendo idealmente l’immagine in tre parti uguali, sia verticalmente sia orizzontalmente, in modo da creare una griglia di 9 riquadri. Secondo questa regola una corretta composizione prevede che il soggetto sia contenuto all’interno di uno di questi quadri.
  • RGB: Significa “Red, Green, Blue” ed è l’acronimo per individuare i tre colori primari (ossia non ulteriormente scomponibili), appunto il rosso, il verde ed il blu, nonché per indicare il sistema più usato per definire un colore a video. Questo sistema è detto di sintesi additiva in quanto è possibile ottenere tutti i colori dello spettro sommando tra loro i tre colori, in varie misure, fino ad ottenere il bianco (corrispondente al valore 255 di tutti e tre i colori miscelati tra loro) oppure il nero (corrispondente al valore 0 di tutti e tre i colori). Lo standard CMYB è invece uno spazio colore inferiore all’RGB: di solito la maggior perdita in caso di conversione è relativa alle tonalità blu e viola.
  • Ricampionare: Ricampionare un’immagine digitale significa ridimensionare, trasformare o cambiare la sua risoluzione. Quando un’immagine viene ricampionata verso il basso (ad esempio rimpicciolita), alcune sue informazioni vengono scartate e non sono più recuperabili (per questo motivo la ricampionatura verso il basso non deve mai essere effettuata sull’originale, ma sempre su una copia del file); quando un’immagine viene ricampionata verso l’alto (ad esempio ingrandita), le informazioni vengono invece aggiunte attraverso l’interpolazione.
  • Riduzione effetto occhi rossi: Funzione di molte fotocamere (compatte o reflex, digitali o analogiche) in grado di ridurre l’effetto occhi rossi. Il meccanismo è semplice ed è volto, con una raffica di piccoli lampi flash antecedenti lo scatto vero e proprio, a colpire e restringere la pupilla, riducendo il difetto. Questa funzione può stimolare la restrizione della pupilla ma non necessariamente eliminare un difetto così comune come gli occhi rossi. In molti casi si rivela quindi più efficace un intervento di fotoritocco mirato a correggere in maniera definitiva e precisa il difetto.
  • Risoluzione: La dimensione di un’immagine digitale è comunemente espressa in larghezza per altezza ed è misurata in pixel (es.: 3456×2304 pixel). La risoluzione misura la densità di pixelpresenti in un’immagine. Un dato sensore è infatti in grado di produrre un’immagine di “x” milioni di pixel (restando nell’esempio fatto l’immagine finale sarà di quasi 8Mp, cioè 3456×2304 pixel). Questo concetto di risoluzione indica pertanto quanta “informazione totale” è presente nell’immagine. La quantità di informazioni presenti in un’immagine digitale può essere espressa in termini di DPI o PPI: il primo metodo descrive i dots per inch (ossia i punti di inchiostro presenti in un pollice) e viene utilizzato per le immagini stampate, il secondo descrive invece i pixel per inch (pixel presenti in un pollice) e viene utilizzato per le immagini visualizzate su un video. L’aspetto certamente più importante è la risoluzione del file d’immagine, non la risoluzione della stampante che produrrà la stampa: un’immagine catturata in bassa risoluzione non avrà mai un dettaglio soddisfacente neppure se stampata ad alta risoluzione. In entrambi i casi, comunque, più la risoluzione è elevata, maggiori saranno i dettagli presenti nell’immagine. La risoluzione di un file d’immagine si può modificare anche a posteriori con un processo di interpolazione, ma ciò non comporta un miglioramento della qualità della foto. Di seguito le più comuni risoluzioni in pixel (PPI) correlate alle massime dimensioni di stampa ottenibili senza interpolazione: 2272x1704px = 19x14cm; 2560x1920px = 21x16cm; 3072x2048px = 30x45cm; 3224x2448px = 30x45cm; 4064x2704px = 40x60cm.
  • Risolvente (potere): Il potere risolvente indica la capacità di un obiettivo o di un sensore (o pellicola) di separare un certo numero di linee per millimetro.
  • Ritardo di scatto: È l’intervallo di tempo che intercorre tra la pressione sul pulsante di scatto e lo scatto effettivo della foto. È uno dei punti deboli delle fotocamere digitali compatte (soprattutto quelle meno recenti) ed è dovuto alla velocità operativa del processore nel gestire tutti i passaggi dei dati. Discorso a parte per le reflex digitali, normalmente molto più rapide se non addirittura istantanee.
  • Rumore digitale: Difetto dell’immagine digitale che si manifesta come granulosità monocromatica (luminance noise) o come piccoli puntini colorati (chroma noise) soprattutto nelle aree uniformi e a tonalità continue della foto. L’effetto è molto simile a quello della grana delle pellicole ad alta sensibilità. Il rumore è influenzato da diversi fattori: aumenta all’aumentare della temperatura del sensore, della sensibilità ISO utilizzata (a 100 ISO il rumore è appena percepibile, a 200 ISO è ancora accettabile, mentre sopra i 400 ISO tende a diventare molto fastidioso) o al diminuire delle dimensioni del sensore (un sensore grande è di norma meno rumoroso di uno piccolo, ma a parità di dimensioni del sensore, più megapixel significa più rumore). Il rumore può anche essere dovuto alla forte compressione utilizzata e ai tempi di posa lungi (tempi superiori al secondo possono produrre rumore cromatico). Il rumore digitale può essere corretto abbastanza bene con il fotoritocco, ma è possibile limitarlo anche al momento dello scatto scegliendo il valore ISO più basso possibile (magari utilizzando un treppiede se i tempi di apertura diventano lunghi), tenendo la fotocamera spenta e al fresco fino al momento della ripresa (per non riscaldare il sensore) e scegliendo di salvare l’immagine in un formato non eccessivamente compresso.

T

  • Tonalità: Anche detta tinta, la tonalità è un colore “puro”, cioè caratterizzato da una singola lunghezza d’onda all’interno dello spettro visibile (o spettro ottico) della luce. Assieme alla luminosità, al contrasto e alla saturazione contribuisce alla resa finale dell’immagine.
  • Telecomando: Utilizzato per eliminare le oscillazioni e le vibrazioni che la pressione del dito innesca sulla macchina (dannose con tempi di posa lunghi o con focali ampie) o per eseguire autoscatti. Può essere a filo (vedi scatto flessibile), onde radio o infrarossi.
  • Telemetro: Dispositivo che permette di misurare la distanza a cui si trova il soggetto inquadrato. Vedi anche mirino.
  • Teleobiettivo: Obiettivo di focale più lunga del normale, che ha quindi un ingrandimento maggiore. Per “obiettivo normale” si intende (per una fotocamera standard 35mm) una lunghezza focale intorno ai 50mm, e per “teleobiettivo” si intende un obiettivo con lunghezza focale di 80mm (o focali equivalenti nelle fotocamere digitali) o maggiore. Caratteristiche tipiche di un teleobiettivo sono un ristretto campo inquadrato, una ridotta profondità di campo e un effetto di compressione dei piani che fa apparire vicini tra loro oggetti posti a distanze diverse.
  • Temperatura colore: Misura della radiazione luminosa (spettro) emessa da una qualsiasi fonte luminosa. È importante conoscere e scegliere la temperatura colore corretta in modo che un soggetto possa essere ripreso nei colori reali. La temperatura colore è proporzionale alla lunghezza d’onda delle varie fonti luminose e si misura in gradi Kelvin. La temperatura della luce solare in una giornata serena è di circa 5400 K a mezzogiorno (nel tardo pomeriggio scende a 4300 K; se il cielo è nuvoloso invece la temperatura oscilla tra i 6000 K e gli 8000 K), mentre la temperatura di una lampadina a incandescenza (tungsteno) è di circa 3200 K e la luce emessa da una candela misura circa 1800 K. Dagli esempi si può dedurre che, contrariamente a quanto si sarebbe portati a credere, ad una temperatura bassa corrisponde un colore giallo-arancio, mentre scendendo ulteriormente si passa al rosso e poi all’infrarosso, non più visibili. Lo spettro che risulta visibile all’occhio umano si estende all’incirca fra i 2.790 K e gli 11.000 K. Salendo di temperatura, invece, la luce appare inizialmente più bianca, quindi azzurra, poi violetta ed ultravioletta. Molte sono le variabili che influenzano la temperatura colore. Oltre alla luce principale (luce d’ambiente, naturale o artificiale) bisogna considerare “fonti di luce” secondarie, come ad esempio gli edifici o anche semplicemente il terreno: essi infatti riflettono la luce e possono bilanciare o al contrario alterare i colori. Ecco perché sarebbe necessario, prima di scattare, avere bene presente come gestire queste variabili. Non sempre però questo è concretamente possibile: in molti casi si possono ottenere buoni risultati solo intervenendo con un bilanciamento del bianco successivo allo scatto.
  • Tempo di esposizione: Termine comunemente riferito alla durata dell’apertura dell’otturatore. Il tempo di esposizione viene anche detto tempo di posa o tempo di scatto. Il tempo di esposizione può andare da millesimi di secondo a diversi minuti o anche ore. Tempi di esposizione brevi congelano l’azione, mentre tempi lunghi sono più adatti a soggetti statici o in scarsa luce. Vedi anche esposizione.
  • Tempo di riciclo: Termine che indica il tempo necessario ad un flash per emettere un nuovo lampo di luce. Più è breve il tempo di riciclo, più è rapida la raffica di lampi che il flash può emettere. Il tempo di riciclo aumenta al diminuire del livello di carica delle batterie del flash o della fotocamera (in caso di flash incorporato).
  • Tiff oTif (file): Significa “Tagged Image File Format” ed è il formato standard per la computer grafica e le foto di qualità. Una delle principali caratteristiche di questo formato, infatti, è che può essere rielaborato e salvato all’infinito senza nessun degrado della qualità. Tale formato memorizza 24 bit per Pixel, ma esiste anche uno speciale formato tiff a 48 bit.
  • Treppiede: Supporto in metallo, anche detto cavalletto, che consente di scattare fotografie senza micromosso e anche con tempi di esposizione lunghissimi (richiesti ad esempio dalla fotografia notturna). E’ spesso usato in abbinamento ad una testa snodata, uno scatto flessibile o un telecomando, ma anche in combinazione con l’autoscatto. Ne esistono moltissimi tipi, dai modelli tascabili a quelli estensibili oltre due metri. La maggior parte dei treppiedi dispone di tre gambe; in alcune situazioni il treppiede può essere sostituito dal monopiede (più pratico e rapido da spostare ma chiaramente meno stabile).
  • TTL: Significa “Through the lens”: la luce è captata da un dispositivo di ricezione posizionato tra il flash e l’obiettivo; i circuiti elettronici della fotocamera regolano la potenza del flash tenendo conto dell’apertura di diaframma e della lunghezza focale dell’obiettivo, in modo da avere una migliore esposizione.
  • Tubi di prolunga: Accessori di varia lunghezza che, interposti tra fotocamera e obiettivo, aumentano la distanza di quest’ultimo dal sensore, consentendo così di ingrandire il soggetto ripreso. Per questa loro funzione i tubi di prolunga, anche detti tubi di estensione, sono utilizzati nella macrofotografia in aggiunta o in sostituzione di un obiettivo macro. Per ottenere ingrandimenti maggiori è anche possibile montare più tubi di estensione contemporaneamente.

U

  • Ultravioletto:Radiazioni elettromagnetiche invisibili che confinano con la parte viola dello spettro visibile. Per assorbire queste lunghezze d’onda (che possono venire captate dalla macchina aumentando molto leggermente l’effetto di foschia e modificando la tonalità dei colori) possono essere utilizzati dei filtri UV da applicare all’obiettivo, utili soprattutto in zone ad alta concentrazione di raggi ultravioletti come in riva al mare o in alta montagna.
  • UV (filtro): Filtro che assorbe le radiazioni ultraviolette. Spesso viene lasciato perennemente avvitato all’obiettivo per proteggere la lente frontale da urti e graffi accidentali, dal momento che il filtro UV ha tendenzialmente una scarsissima influenza sull’immagine.

V

  • Velo atmosferico: Termine utilizzato in fotografia per indicare la “nebbiolina” che si manifesta soprattutto quando si fotografano soggetti lontani utilizzando teleobiettivi. In queste occasioni si può infatti presentare una sorta di foschia azzurrognola che offusca l’immagine, peggiorandone la sensazione di nitidezza e la qualità generale. Il velo atmosferico varia in base all’altitudine e alla direzione della luce ed è particolarmente accentuato nel controluce. È possibile correggere il velo atmosferico in fase di ripresa e in fase di fotoritocco. In fase di ripresa il velo atmosferico si attenua utilizzando filtri colorati o il filtro polarizzatore e si elimina con la fotografia all’infrarosso. In fase di fotoritocco il velo atmosferico può essere diminuito innanzitutto regolando il contrasto con l’aiuto degli istogrammi e correggendo la dominante cromatica.
  • Vetro ottico: Materiale utilizzato nella produzione di obiettivi di qualità. Il vetro ottico ha particolari proprietà rifrattive (i migliori sono a bassa rifrazione, vedi obiettivi apocromatici) e valori di trasparenza. In funzione della dispersione e della rifrazione, il vetro ottico è identificato con il numero di Abbe.
  • Vignettatura: Progressiva riduzione della luminosità dell’immagine verso i bordi che si presenta normalmente come una sfumatura tendente al nero negli angoli della foto (è comunemente detta vignettatura anche la sfumatura tendente al bianco ottenuta tramite fotoritocco). Possono essere vari i fattori che determinano la vignettatura, ma tendenzialmente dipende dalle caratteristiche ottiche dell’obiettivo ed in genere è più evidente sui grandangolari. Una diversa causa della vignettatura può essere un filtro o un paraluce inadeguato applicato all’obiettivo: se di dimensioni non consone entra negli angoli del campo inquadrato. La vignettatura può essere eliminata (ma anche generata per dare maggior profondità all’immagine) con un intervento di fotoritocco oppure semplicemente eliminando la causa esterna che la produce.
  • Viraggio:Processo che conferisce all’immagine un colore particolare (ad esempio viraggio seppia, oppure verde, rosso o altri colori). In passato il viraggio era ottenuto esclusivamente grazie alla chimica ed era molto utilizzato non solo per ragioni estetiche ma perchè conferiva una maggiore stabilità nel tempo all’immagine (in particolare il viraggio al selenio). Oggi, in fotografia digitale, il viraggio indica una modifica dei colori dell’immagine finale ottenuta in camera chiara grazie ad un intervento di fotoritocco.

W

  • WI-FI: Acronimo di Wireless Fidelity, indica le reti locali senza fili (WLAN) basate sulle specifiche IEEE 802.11. Il Wi-Fi consente di scambiare dati ad alta velocità senza utilizzare cavi di collegamento. Grazie alla completa libertà di movimento che offre, il Wi-fi è utile anche nel campo fotografico: tra le periferiche dotate di questa tecnologia vi sono alcune fotocamere digitali che possono comunicare istantaneamente e senza bisogno di alcun cavo con altre periferiche Wi-Fi quali computers, stampanti o accessori.

X

Y

Z

  • Zoom: Tipo di obiettivo che consente di variare l’ingrandimento del soggetto regolando la lunghezza focale con un comando manuale o ad azionamento elettronico. Lo zoom di una fotocamera digitale può essere di due tipi: zoom digitale (disponibile in quasi tutte le compatte, permette di ottenere l’ingrandimento virtuale dell’immagine tramite un’interpolazione istantanea, con un conseguente notevole decadimento della qualità) e zoom ottico (o obiettivo zoom, grazie al quale viene realmente modificata la lunghezza focale dell’obiettivo: il sensore registra l’immagine ingrandita direttamente dalle lenti che compongono il suo complesso gruppo ottico, senza decadimento della qualità). Gli zoom di alta gamma, possono essere dotati del cosiddetto stabilizzatore d’immagine per evitare o ridurre le possibilità (più concrete in ottiche medio lunghe) che la foto venga mossa.

S

Saturazione: È l’intensità o purezza di una specifica tonalità di colore. Una tinta molto satura ha un colore vivido e brillante, mentre quando la saturazione è scarsa, il colore diventa più slavato e tende al grigio. Se la saturazione viene completamente annullata, il colore si trasforma in una scala di grigi. Assieme al contrasto, alla tonalità e alla luminosità contribuisce alla resa finale dell’immagine. Come gli altri parametri, anche la saturazione può essere impostata al momento dello scatto oppure può essere determinata in post produzione. Solitamente i paesaggi hanno una resa migliore ad un livello elevato di saturazione, mentre i ritratti rendono meglio con una saturazione meno intensa. Ideale è scattare con un valore medio di saturazione che sarà implementato o diminuito in fase di sviluppo digitale della foto.

Scala di grigi: Indica un’immagine in “bianco e nero”, ossia basata unicamente su tonalità di grigio, che possono andare dal bianco al nero. I grigi si formano mescolando sempre in parti uguali le componenti RGB o CMYK.

Scalettatura: Termine comunemente utilizzato per indicare l’aliasing, aspetto a “scalini” delle linee curve nelle immagini digitali; tale difetto viene anche definito “pixelatura”, essendo causato proprio dalla particolare conformazione delle immagini digitali, composte da pixel. La scalettatura si presenta in ogni linea non perfettamente orizzontale o verticale delle immagini digitali, ma con l’aumentare del numero di pixel (e quindi con la riduzione delle loro dimensioni a parità di dimensioni dell’immagine) il difetto risulta meno evidente. Vedi anche dithering.

Scatto continuo: Indica la capacità di una fotocamera di scattare in rapida successione un certo numero di fotografie. Il numero di immagini ottenibili in sequenza dipende dalla dimensione dei file generati, dalla velocità con cui l’hardware le riesce a memorizzare e dalla capienza del buffer interno. Alcune fotocamere professionali arrivano a scattare foto ad una velocità di 8/10 fotogrammi al secondo fino ad un massimo di circa 50 scatti.

Scatto flessibile: Cavo flessibile in grado di collegarsi alla fotocamera e di sostituirne il pulsante di scatto con uno posto alla sua estremità. Esso permette così di scattare (e a volte anche di mettere a fuoco tramite l’autofocus) senza vibrazioni indesiderate e di limitare il micromosso. Può anche mantenere l’otturatore aperto nella Posa B.

Schermatura: Tecnica utilizzata in camera oscura per schiarire le aree di un’immagine. In camera chiara la tecnica viene realizzata da programmi come Photoshop, con lo strumento Scherma. Questa tecnica di sviluppo è dunque in grado di aumentare parzialmente o totalmente l’esposizione su una determinata porzione dell’immagine e compensare eventuali sottoesposizioni. L’opposto della schermatura è la bruciatura. La combinazione controllata e consapevole di queste due tecniche consente di modificare porzioni dei soggetti (rendendole più o meno luminose e quindi visibili) o addirittura la luce dell’intera immagine.

Scontorno: Scontornare una fotografia significa isolarne una parte (ad esempio il soggetto) dal tutto (ad esempio lo sfondo). Questa operazione, assimilabile ad un “ritaglio” molto preciso, viene normalmente eseguita in funzione di lavorazioni più complesse, come l’impaginazione del soggetto scontornato, la creazione di loghi, fotomontaggi, eccetera. Lo scontorno di una fotografia digitale (o creazione di un clipping path), tecnicamente, consiste nella creazione di un tracciato vettoriale che segua i contorni del soggetto da ritagliare. Un tracciato vettoriale è un modello digitale dell’immagine che, a differenza di una comune foto, permette il suo ingrandimento senza perdita di qualità. Il tracciato viene incorporato nel file di immagine e può quindi essere distribuito ed utilizzato a piacimento. Naturalmente, le difficoltà di ritaglio variano da immagine ad immagine, in funzione di tre fattori principali: le caratteristiche del soggetto, le caratteristiche dello sfondo e la qualità della foto. Un soggetto di forma regolare su uno sfondo tendenzialmente uniforme facilita il lavoro, mentre un soggetto dai bordi frastagliati (ad esempio una ragazza con i capelli al vento) su uno sfondo simile al soggetto stesso o molto variegato e in una foto di qualità (quindi ricca di dettagli che devono essere mantenuti) complica in maniera esponenziale il lavoro, che deve quindi essere eseguito da una mano esperta e governata da un cervello molto molto paziente.

Secondo piano: Termine che, in un’inquadratura, indica gli oggetti e le cose poste al di là di quelle in primo piano. Se i soggetti in primo piano sono messi a fuoco, quanto contenuto nel secondo piano appare più o meno sfuocato, a seconda della profondità di campo (e quindi del diaframma).

Sensibilità: Livello di risposta alla luce di un sensore digitale o di una pellicola. Più la sensibilità è alta, meno quantità di luce è necessaria. Vedi anche ISO e ASA.

Sensore: Il sensore svolge lo stesso compito (in formato digitale) della pellicola: registrare la luce che attraversa l’obiettivo della macchina durante l’esposizione. Esistono due tipi di sensori fotografici: CCD e CMOS. Le dimensioni del sensore, insieme al totale dei fotodiodi che lo compongono e alla gamma di colori che essi sono in grado di catturare, ne caratterizzano le potenzialità. In generale si può affermare che più il sensore è grande e maggiore è il numero dei suoi fotodiodi, migliore sarà sia la qualità (definizione) dell’immagine finale, sia la sua risoluzione. Il sensore viene definito a “pieno formato” quando raggiunge dimensioni analoghe al negativo da 35mm delle fotocamere analogiche (24x36mm): si tratta di sensori molto costosi ma di alta qualità che sono in dotazione delle reflex professionali e si distinguono dalla maggior parte degli altri sensori (delle compatte ma anche delle altre reflex) più economici e di dimensioni più ridotte. Argomenti correlati: pixel, ISO, polvere e pulizia del sensore.

Sfuocato (o sfocato):Termine per indicare la mancanza di messa a fuco su una parte o tutta l’immagine. Una parte sfuocata perde i dettagli ed appare, se la sfocatura è molto forte, come un insieme indistinto di colori e luci. La sfocatura di ciò che è presente in secondo piano mette in grande risalto il soggetto della foto, mentre se questo risulta sfuocato la foto perde tutta la sua carica e non è possibile recuperarla nemmeno in fase di fotoritocco. Il controllo della profondità di campo, e conseguentemente anche delle zone fuori fuoco, consente di evidenziare alcuni dettagli rispetto ad altri e di potenziare l’intensità dell’immagine. Grazie al fotoritocco è possibile sfuocare alcune parti della foto per riprodurre in maniera controllata questo effetto. Vedi anche ISO.

Silhouette: “Disegno” della sagoma scura del soggetto su sfondo chiaro, tipica delle situazioni di controluce, ove non è possibile individuare i dettagli del soggetto ma solo il suo contorno.

Sincronizzazione flash: Esistono diversi tipi di sincronizzazione del flash; in generale per sincronizzazione del flash si intende il coordinamento dell’apertura dell’otturatore con l’emissione e la durata del lampo. È innanzitutto possibile sincronizzare l’emissione del lampo del flash con l’inizio (flash sulla “prima tendina”) o la fine (flash sulla “seconda tendina”) dell’apertura dell’otturatore. Normalmente il flash produce il proprio lampo nel momento in cui si apre la tendina anteriore, è quindi sincronizzato sulla prima tendina. La differenza sta nel fatto che con il flash sulla seconda tendina il soggetto viene illuminato inizialmente dalla luce ambiente e solo al termine dell’esposizione dal lampo del flash: in questo modo, se ad esempio si tratta di un soggetto in movimento, è possibile che lasci una sorta di scia dietro di sé (scia che invece in foto sembrerebbe precederlo se il flash fosse sulla prima tendina). Un altro tipo di sincronizzazione è la sincronizzazione con tempi lenti: utilizzando tempi di posa lunghi in combinazione con il lampo del flash è possibile congelare grazie al flash (sulla prima o sulla seconda tendina) l’azione del soggetto in primo piano, e contemporaneamente conservare grazie alla lunga esposizione – e ad un treppiede – l’atmosfera degli sfondi meno illuminati (ad esempio un ritratto notturno).

Slitta a contatto caldo: Attacco per flash esterni (o altri accessori) posto di solito sulla parte superiore della fotocamera, solitamente reflex. È composto da un doppio innesto metallico per il fissaggio e dispone di almeno un contatto elettrico (può averne fino a 5) per la comunicazione tra la fotocamera e il flash. In mancanza di contatti elettrici ha esclusivamente la funzione di supporto per accessori. Sul flash esiste un aggancio complementare alla slitta della fotocamera, con uno o più contatti elettrici e di solito un meccanismo di blocco.

SLR: Significa “Single Lens Reflex”, ed è un acronimo per indicare le fotocamere reflex a obiettivo singolo.

Smart media: Scheda di memoria per fotocamere digitali compatte. Le schede SmartMedia sono supporti di memoria leggeri (circa 2g) e piccoli (45mm x 37mm x 0,76mm). Nelle schede SmartMedia il controller è situato nel drive anziché essere incorporato nella scheda.

Sottoesposizione: Illuminazione insufficiente dovuta al non corretto bilanciamento della coppia otturatore/diaframma oppure alla non corretta impostazione della fotocamera. Quando una foto è sottoesposta il sensore (o la pellicola) registra una parte dell’immagine come completamente nera.

Sovraesposizione: Illuminazione eccessiva dovuta al non corretto bilanciamento della coppia otturatore/diaframma oppure non corretta impostazione della fotocamera. Quando una foto è sovraesposta il sensore (o la pellicola) registra una parte dell’immagine come completamente bianca.

Specchio (blocco dello): Nelle fotocamere reflex la luce catturata dall’obiettivo viene riprodotta nel mirino tramite un piccolo specchio, inclinato di 45° e collocato sopra il sensore (o la pellicola). Poiché lo specchio viene sollevato al momento dello scatto per consentire alla luce di colpire il sensore, potrebbero generarsi delle piccole vibrazioni e quindi il micromosso. Per evitare ciò, in alcune fotocamere è possibile sollevare lo specchio prima dell’effettivo scatto: questa operazione è detta appunto “blocco dello specchio”.

Spot (misurazione): Modalità dell’esposimetro che misura l’esposizione di un “punto”, ossia una piccola area posta esattamente al centro dell’immagine. Il termine spot indica anche un particolare tipo di illuminatore che produce un raggio di luce molto stretto.

Stabilizzatore di immagine: Sistema elettronico o opto-meccanico che aiuta a compensare le vibrazioni involontariamente prodotte al momento dello scatto per assicurare immagini nitide ed evitare il mosso anche con focali lunghe o condizioni di scarsa luminosità. Vedi anche Obiettivi stabilizzati

Stigmometro: Lente cilindrica un tempo inserita negli schermi di messa a fuoco delle macchine fotografiche. La lente provvedeva a spezzare l’immagine contenuta nel mirino della fotocamera quando il soggetto non era a fuoco. Questo permetteva di ottenere la corretta messa a fuoco semplicemente verificando l’allineamento del soggetto all’interno dello stigmometro.

Stop: Termine che indica una unità nella scala di misurazione del tempo o del diaframma. Vedi anche la Regola della reciprocità.

Vuoi imparare dai migliori? Ecco i Nostri suggerimenti.​

glossario fotografiaprofessionale
Fotografia Professionale
glossario worldphoto 1
World Photo Hunter
glossario gianlucaferradino
Gianluca Ferradino